Nomina sunt consequentia rerum, scrive Dante nella Vita Nuova, rifacendosi a Giustiniano. Dunque «la discussione sui nomi viene dopo la discussione sull’agenda delle cose da fare: poi decidiamo chi le fa». Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, si accorgerà molto presto, fin dalle prossime ore, nel suo primo giro di consultazioni con le cancellerie europee, che il metodo suggerito due sere fa da Matteo Renzi nella cena tra capi di stato e di governo a Bruxelles non è un’opzione tra le tante, ma una necessità e l’unica via percorribile. Perché con la crisi economica che morde e le folle di disoccupati che crescono, «soltanto se i capi di stato e di governo europei si concentreranno sulle grandi riforme di cui l’Unione europea ha bisogno – come ripete anche l’ex leader laburista Tony Blair – saranno in grado di arrestare l’ondata dei gruppi più radicali».
Per l’Italia gli incarichi sono legati agli obiettivi, ripete Renzi che chiede concretezza nelle proposte su «come spendere soldi europei per creare lavoro».
Scorporo degli investimenti produttivi dal calcolo del deficit delle spese per le scuole e le infrastrutture o per il dissesto idrogeologico: di questa e delle altre sue ricette euro-keynesiana, si dice, Renzi avrebbe parlato anche con Barack Obama subito dopo la vittoria elettorale. Chissà che la forte spinta della Merkel per il rafforzamento dell’asse Berlino-Washington in una fase di forti tensioni internazionali non finisca per favorire e sposarsi con un robusto “cambio di verso” di Berlino per un approccio finalmente dinamico alla questione europea. Cioè: politiche finalmente espansive.
ELVIRA TERRANOVA, giornalista siciliana
Spese pazze Ars. Arrivata la scure della Corte dei conti sui gruppi parlamentari. Riscontrate irregolarità per 1,5 mln di euro.
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