L'italiano medio, quello che vota a sinistra |
Napoli maglia nera dell'astensionismo. Persino il sindaco non ha votato
ROSARIO CROCETTA, presidente Regione Sicilia
Pd siciliano non è mai contento. Litiga pure se vinciamo. Ma cosa vogliono? Hanno perso le correnti"
MARIO CALABRESI, direttore de La Stampa
LA RABBIA, LA
FRUSTRAZIONE E LA PROTESTA FANNO RUMORE, SI SENTONO, CONQUISTANO TUTTA LA
NOSTRA ATTENZIONE, SPECIE SE SONO GRIDATE A SQUARCIAGOLA. COSÌ ERAVAMO TUTTI
CONVINTI CHE IL VOTO ITALIANO SI SAREBBE RISOLTO IN UN TESTA A TESTA TRA MATTEO
RENZI E BEPPE GRILLO, IN CUI QUEST’ULTIMO SEMBRAVA DESTINATO AD AVVICINARSI
SEMPRE PIÙ ALLA SOGLIA DEL 30 PER CENTO.
L’aggressività
della campagna dei 5 stelle e le piazze piene ci avevano sviato da altri
segnali di cui avremmo dovuto tenere conto, che ci avrebbero aiutato a capire
meglio la società italiana e a non scoprire la realtà con un soprassalto come
troppo spesso avviene.
Questi
segnali erano la necessità di avere qualcosa in cui credere, il bisogno di una
prospettiva, la speranza di un miglioramento delle condizioni. Queste però non
sono cose che si gridano, ma che, per paura di rimanere delusi, si sussurrano,
al massimo si confidano a bassa voce: «Crede che questa volta ce la possiamo
fare? Pensa che Renzi riuscirà a sbloccare la situazione?». Domande sempre
condite dalla stessa chiusa: «Io ci spero, anche perché è l’ultima possibilità
che ci è rimasta».
Lo
avevamo scritto quando è nato questo governo, che un fallimento di Renzi
sarebbe stato un tragico fallimento per il Paese, lo ha sintetizzato proprio
ieri in conferenza stampa il premier: «Nel derby tra speranza e rabbia, la
speranza ha preso il doppio dei voti della rabbia». E’ successo, con
percentuali che non si erano mai neppure immaginate per un partito che viene
dalla tradizione della sinistra, perché si sono definitivamente rotte le
appartenenze del secolo passato e gli steccati ideologici, ma anche perché una
parte consistente degli italiani ha pensato che non potevamo permetterci di
creare un nuovo cumulo di macerie.
E’
presto per conoscere i flussi dei voti, per attribuirli a categorie sociali e
di età, ma la geografia invece è già chiara e ci racconta spostamenti quasi
incredibili. Se si suppone che i giovani, certamente i più frustrati dalla
scarsità di futuro, abbiano votato in maggioranza per il Movimento 5 stelle
nella speranza di sbloccare una situazione bloccata e insostenibile, è invece
credibile che i loro genitori abbiano scelto Renzi. Non per conservatorismo o
perché – come ha detto Grillo – «questo è un Paese di pensionati che non
pensano al futuro dei propri figli», ma al contrario per la convinzione che sia
meglio costruire che distruggere. Un artigiano che votava per Forza Italia può
riuscire a mettere la croce sopra il simbolo del Pd solo se è spinto da un
senso di necessaria sopravvivenza, che può essere l’urgenza di salvare il
negozio, l’azienda, la bottega o, più di tutto, la speranza di vedere il figlio
trovare un lavoro. Questo Grillo ha sottovalutato – e noi giornalisti con lui
–: l’istinto di sopravvivenza degli esseri umani e lo sfinimento di sentirsi
dire che tutto fa schifo, che siamo destinati alla sconfitta, a una nuova
stagione di processi e di purghe.
All’inizio
della sua carriera, quando era solito vincere, Silvio Berlusconi amava ripetere
che bisogna avere sempre il sole in tasca, poi se ne è dimenticato, per mille
ragioni, e lì la sua parabola politica ha cominciato a tramontare. Oggi Matteo
Renzi pare aver ben chiaro questo aspetto, la necessità di indicare una strada,
una luce in fondo al tunnel. Gli italiani gli hanno creduto, concedendogli
un’apertura di credito senza precedenti, ma ora la responsabilità e il rischio
di deludere sono immensi. Ha gli occhi degli italiani e questa volta anche
degli europei addosso, abbandoni improvvisazioni e arroganze e – come ha fatto
ieri – proceda spedito con senso della misura e coraggio di innovare.
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