La vita delle parole ... ... di Paolo Borgia
Perëndi dhe Inzot
Madre Teresa nella sua intensa vita di lavoro scrisse
poco, principalmente in inglese. La sua mente e le sue parole inevitabilmente
riguardavano Dio, di cui si sentiva sua serva. Ma Lei, usava solo la parola Lord, Zot, Signore. Come Lei cinque secoli prima anche il ghego
Gjon Buzuku aveva scritto Zot, dove una
croce con due gambe - ƛ - è la sua zeta ( /z/ It. s sonora).
Niente Perëndì,
figuriamoci poi il futuribile dio Hyu
ora l’improponibile Hyji come
vorrebbe la lingua letteraria!
E noi? Noi ci dobbiamo fidare di Luca Matranga e del
suo Catechismo. Qui Dio si chiama Inëzot:
“Ishtë Inëzot Ati, i Biri, Shpirti Shejt tri faqe, një i vetëmë Inëzot”.
E perché non si abbiano dubbi, egli si ripete per ciascuna persona aggiunge il
nome Inëzot. In compenso la parola perëndia la troviamo nel Padre nostro: “artë
perëndia jote” >
“venga il regno tuo”.
E a conferma del significato troviamo: “Falemi Perëndeshe” > “Dio ti salvi Regina”. Osserviamo che la parola
perëndia è qui al femminile (jote).
Passano gli anni e i secoli e le cose cambiano. Così nel Credo della liturgia di Monsignor
Paolo Schirò viene impegato la parola “Perëndì
i vërtet” è Dio vero al maschile. Il Padre talvolta è Ati e talaltra è i Jati e
Nostro Signore è declinato in modo arcaico “t’ën’Zonë”. Oggi la Liturgia in arbëresh ha raggiunto lo
splendore e la purezza stilistica che il nostro poeta Zef Schirò Di Maggio ha
donato alla nostra comunità. Questo messale trilingue, greco, arbëresh,
italiano, non ha avuto il permesso di
Roma perché il testo italiano non era degno dell’altare e perciò va corretto.
Il popolo però quando cerca il sostegno del Creatore del Cosmo (il Bello) si
rivolge a Lui, Signore dei signori con la semplice giaculatoria: « O i Madh’Inzot ndihëm Ti!» - «Oh Nostro Gran
Signore aiutami Tu!»
Shërbes dhe gjë
Ci sono cose e cose: così sembra dirci la lingua
arbëreshe. Da sempre, da quando abbiamo imparato a scrivere, la “cosa” più
usata è “shërbes -i” e quando ce n’è più d’una allora sono “shërbise”. Per esempio:
“I dīti shërbes çë bën hrī të
krështerit çë ishtë pandohia” - “Della seconda cosa necessaria al Cristiano,
cioè della speranza”. E’ logico! Se shërben vuol dire servire, ecco che shërbesi è una cosa utile che serve. Come shërbëtori e anche shërbëtyra.
Una volta - chissa quando? - devono esserci state
tante altre cose anche importantissime e che ora sembrano sparite. Ma è solo
apparenza sono cose che si sono
mimetizzate, nascoste in altre parole.
Gjë -ja -ra (gjër -i), qish, sej, send, sënd sono parole cadute nel disuso (da noi ma ancora vive altrove), che hanno figliato altre parole composte che le contengono e che usiamo continuamente. Gjagjë (forse da ndogjë?), mosgjë, mosgjakun, gjithqish, gjithsej (ogni cosa), sënduq -i.
E questo delle parole che si formano mettendo insieme altre parole è una delle ricchezze popolare della lingua arbëreshe: fjalëformimi, una delle parti principali dello studio della lingua, che serve alla sua perpetuazione nel divenire culturale e tecnologico e che i “puristi dovrebbero curare maggiormente.
Gjë -ja -ra (gjër -i), qish, sej, send, sënd sono parole cadute nel disuso (da noi ma ancora vive altrove), che hanno figliato altre parole composte che le contengono e che usiamo continuamente. Gjagjë (forse da ndogjë?), mosgjë, mosgjakun, gjithqish, gjithsej (ogni cosa), sënduq -i.
E questo delle parole che si formano mettendo insieme altre parole è una delle ricchezze popolare della lingua arbëreshe: fjalëformimi, una delle parti principali dello studio della lingua, che serve alla sua perpetuazione nel divenire culturale e tecnologico e che i “puristi dovrebbero curare maggiormente.
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