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martedì 19 luglio 2022

Noi gente del XXI secolo. Motivi per riflettere

 Detti e Fatti

(ANSA)Mercoledì si consumerà la parlamentarizzazione della crisi.

Il premier Mario Draghi prenderà la parola prima al Senato, dove è nato il governo, e poi solo se lo reputerà necessario alla Camera.

Più facile infatti che a Montecitorio consegni un testo scritto. I tempi esatti saranno individuati dalle conferenze dei capigruppo fra lunedì e martedì ma sarà il presidente del Consiglio a scegliere se attendere il dibattito ed anche il voto sulle comunicazioni oppure abbandonare subito dopo aver parlato l'Aula di Palazzo Madama e salire al Colle per rassegnare le dimissioni. Il premier lo ha messo a verbale parlando ai suoi ministri poco prima di annunciare le dimissioni (poi congelate dal capo dello Stato): il patto di fiducia è venuto meno, un'altra maggioranza non è possibile.

Qualora però reputasse che le condizioni politiche siano nuovamente mutate e che dunque sia possibile proseguire nell'azione di governo per sancire il nuovo avvio, avrebbe a disposizione il voto sulle comunicazioni rese in Parlamento. Secondo infatti quanto viene spiegato, la risoluzione di maggioranza potrebbe contenere un riferimento esplicito alla fiducia all'esecutivo e dunque, una volta incassato il voto favorevole, sarebbe sufficiente a riannodare il filo spezzato un questi giorni.

Nel caso di dimissioni del premier, invece, la parola passerebbe al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E qualora il capo dello Stato reputasse opportuno sciogliere le Camere e andare a elezioni, le date più probabili sono quelle del 25 settembre o del 2 ottobre. I tempi potrebbero sembrare eccessivamente lunghi, ma gli adempimenti per i partiti sono molteplici, non solo per la campagna elettorale ma anche per la presentazione delle liste che devono essere accompagnate da un alto numero di firme.

Carlo Calenda, leader di Azione

«In piazza ci sono cittadini che si sono stancati che l’italiano più autorevole sia messo in discussione da un gruppo di scappati di casa come i 5 Stelle e degli irresponsabili come Lega e Forza Italia. Draghi è in Algeria mentre PD, Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, M5S manifestavano contro i gassificatori di Piombino. È la differenza tra una persona seria e dei cialtroni».

Danilo Doninelli, senatore M5S

«Il vero responsabile della crisi di Governo è Draghi. Non come raccontano i giornali Conte. Il vero irresponsabile è Draghi» .

Matteo Renzi, leader di Italia Viva

«Draghi è uno statista, Conte è uno stagista», E ha aggiunto: «Sono speranzoso e ragionevolmente ottimista sul fatto che la crisi possa rientrare. Perché penso che nessuno, né a Roma né a Bruxelles, abbia bisogno di un’Italia debole».

Rosalba Cimino, deputata M5S

«Se voterò la fiducia al governo Draghi? Sì, assolutamente. Rimango ferma nella mia posizione». «Lo avevo già dichiarato prima che si consumasse la pantomima del Senato. Voterò la fiducia perché in un momento storico così delicato è giusto portare avanti i nostri temi all’interno del governo, se usciamo non abbiamo più la possibilità di portarli avanti». «Ormai mancano pochi mesi alla fine della legislatura ed è giusto fare la legge di bilancio e non mettere il paese in crisi con l’esercizio provvisorio». «Non sarà il Movimento a buttarmi fuori, sarò io che, autonomamente, voterò la fiducia lasciando il M5S. Se il Movimento non vota la fiducia sarò io a lasciarlo. Credo che anche molti altri colleghi faranno come me, ma io parlo per me stessa»,

Giulio Tremonti, già ministro dell'Economia

«Con calma. Il percorso del governo Draghi si snoda su tre tappe fondamentali: l'insediamento, la conferenza di fine 2021, e l'oggi. Il discorso di insediamento era di ampio respiro e, soprattutto di ampia ambizione. Andava oltre l'emergenza e si sviluppava sulla promessa delle grandi riforme "alla Cavour". Covid più Pnrr. C'era già un errore politico: vi si citava l'unità nazionale di De Gasperi. Un po' esagerato: altro che unità nazionale, De Gasperi liquidò Togliatti che per suo conto ci stava. Ma, insomma le riforme si potevano realizzare: il governo aveva davanti a sé due anni e mezzo di lavoro e una maggioranza schiacciante. Quanto basta».

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