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sabato 30 luglio 2022

Oriente Cristiano. Dal numero Speciale dedicato al Venerabile Giorgio Guzzetta (6' testo)

da pag. 57 
a pag. 66

 ANGELO CARD. AMATO    orientecristianopianagmail.com 

ATTUALITÀ DI P. GIORGIO GUZZETTA 

(1682-1756) 

Per illustrare l’originalità e l’attualità del Servo di Dio, Padre Giorgio Guzzetta (1682-1756), non possiamo fare a meno di dare un rapido sguardo alla sua vita. La biografia più diffusa e documentata resta ancora oggi, dopo più di due secoli, quella pubblicata a Palermo nel 1798 dal sacerdote e storico Don Giovanni Cipriano D’Angelo (1763-1832), che la suddi vise in due libri, dedicati rispettivamente alla vita del Servo di Dio dalla nascita alla morte e alle sue virtù. 

 Diciamo subito che il D’Angelo come “Regio Istorico” era una persona altamente qualificata sia per il suo spirito di ricercatore attento e oggettivo sia per la sua frequentazione dei documenti d’archivio. Lo scopo della sua biografia era certo l’edifi

cazione della Chiesa mediante modelli di uomini virtuosi, in modo da suscitare una generosa emulazione, ma anche la raccolta di tutte quelle informazioni biografiche utili al processo di beatificazione del Guzzetta, morto in concetto di santità. 

 1. Sguardo sintetico alla vita 

 «P. Giorgio Guzzetta della Congregazione dell’Oratorio di Palermo nacque nella terra della Piana, colonia de’ Greci-albanesi di Sicilia, situata nella diocesi di Monreale, a 23 di aprile l’anno ottantesimo secondo del secolo passato». I genitori erano di rito greco-orientale. Dopo gli studi con i Padri Gesuiti, fu ammesso al seminario arcivescovile di Monreale. Il biografo annota che il giovane pregò la Vergine Santissima di rendere il suo spirito più penetrante. Una voce lo confermò nell’efficacia della sua preghiera. La sua mente si fece più luminosa e il giovane «divenne l’oracolo di quel seminario».

 Vengono narrati anche altri fatti straordinari, come quello, ad esempio, della pioggia ottenuta dopo le preghiere fatte dal Guzzetta. I Gesuiti volevano averlo tra i membri della loro Società, ma il giovane, ottenuto il Dottorato, aprì una scuola pubblica nella sua patria. 

 Divenne così un educatore di giovani, formandoli non solo alla cultura ma anche alla pratica della vita cristiana, con la frequenza dei sacramenti della confessione e dell’eucaristia: 

 «Era mirabilmente paziente, tenero, non collerico, né violento; esatto, e non amaro ed offensivo in castigarli. In somma era dotato di quanto da Quintiliano ricercasi in un buon precettore». 

 Non trascurava i suoi studi, apprendendo il greco e studiando il Concilio di Firenze, per poter poi attendere in età più avanzata alla conversione degli scismatici. Dopo un breve periodo alla corte del Cardinale Francesco del Giudice, Arcivescovo di Monreale, abbraccia, su invito di Padre Simone Zati dell’Oratorio, la Congregazione dell’Oratorio, nella quale fu ammesso il 15 dicembre 1706 all’età di 24 anni. La vestizione avvenne il primo gennaio del 1707 e l’ordinazione sacerdotale il 22 dicembre, dopo aver ottenuto il passaggio dal rito greco a quello latino. 

 Predicatore «cui non mancava né dottrina, né prudenza, né pietà [...] fu un degno successore degli Apostoli nel saper spargere ne’ cuori de’ fedeli la parola di Gesù Cristo». 

 La sua predicazione era nutrita di Sacra Scrittura e di Padri della Chiesa e aveva « un’indicibile energia, e veemenza in correggere il vizio ed il peccatore, una certa ammirabile semplicità nel dire, ed una gravità sì grande che tralucer facea i suoi sovrani talenti, de’ quali il Signore avealo dotato». 

 Un suo sermone pronunciato l’ultima domenica di Carnevale toccò talmente gli animi dei fedeli, che non pochi chiesero e ottennero delle copie da P. Giorgio. 

 Era confessore ricercatissimo, soprattutto dalla gente semplice e povera. Il biografo lo descrive come «mansueto, amorevole, dolce, piacevole e [...] sensibile». Avendo le qualità e i pregi sia di un Confessore che di un Direttore di anime, amministrava il Sacramento della Confessione con «un cuore di padre, tenero, prudente, pacifico, paziente, amabile». 

 Ebbe anche cariche di responsabilità all’interno della Congregazione, come, ad esempio, quella di maestro dei novizi. Per tre anni vigilò sull’esatta conoscenza e applicazione delle Regole, sulla frequenza quotidiana alla S. Messa, sulla preghiera e sulla lettura di libri spirituali, sulla assiduità alla confessione frequente. Pur essendo di carattere grave, cercava di essere lieto e gioviale, sulla scia di San Filippo Neri. 

 A un certo punto ebbe l’intuizione di fondare una comunità di preti dell’Oratorio nella sua città natale:

 «Conoscendo il P. Giorgio di quanto bene e vantaggio era all’anime l’adorabile Istituto del suo Santo Patriarca Filippo Neri, volle nella Piana sua patria istituire la Congregazione de’ Padri dell’Oratorio composta di Preti celibi albanesi». 

 A tal fine sceglie alcuni dei virtuosi Preti greci, li istruisce e li veste dell’abito de’ Filippini. Il 3 agosto del 1716 apre nella Piana la Congregazione dei preti celibi di rito greco, contigua alla venerabile parrocchiale Chiesa di S. Giorgio, della quale ebbero l’uso dalle autorità locali. Si trattò all’inizio di sette Sacerdoti e tre Fratelli laici, i quali pur osservando i riti greci professavano la disciplina latina e le Regole della Congregazione. Lo stesso Guzzetta riporta, in una sua lettera, un episodio  curioso. A uno di questi sacerdoti non piaceva unirsi a una Congregazione intitolata a un Santo latino, ma avrebbe voluto per titolare un Padre greco. Per questo introdusse in un’urna più biglietti con nomi di Padri greci e uno solo con quello di S. Filippo Neri. Il risultato del sorteggio fu sorprendente: per ben tre volte di seguito uscì solo il nome di S. Filippo Neri. P. Guzzetta era fiero di questa fondazione greco-latina affermando: «E confido, che lo Spirito Santo siccome partendosi da Costantinopoli, d’indi a poco andò tutto a ricoverarsi nel petto del nostro Santo Padre Filippo Neri, così dal suo petto sia altra volta a far ritorno in Constantiopoli per mezzo di questi nuovi suoi figli albanesi». Fonda poi a Palermo, nel 1734, un Seminario grecoalbanese per i suoi giovani connazionali, contiguo alla parrocchia di San Nicolò de’ Greci, in modo che il parroco greco di Palermo potesse essere agevolato nella sua cura pastorale e liturgica dalla presenza e dalla collaborazione dei giovani Seminaristi. Non solo egli dotò il Seminario degli indispensabili supporti economici, ma soprattutto di una disciplina di pietà e di studio, convinto com’era che - secondo la massima di San Francesco di Sales - la santità e la dottrina sono come i due occhi del sacerdote. 

 Nel regolamento, approvato a Roma nel 1757, pochi mesi prima della morte del Guzzetta, si possono notare alcune costanti della formazione da lui voluta: amore alla santa Chiesa cattolica, desiderio di unione con i Greci ortodossi, cura della tradizione liturgica bizantina e della lingua greca, oltre che di quella latina e italiana: 

 «Debbono [...] gli alunni interporre sempre la validissima intercessione di Maria Santissima [...] per l’esaltazione dell’unica Santa, Cattolica, Apostolica Chiesa, e singolarmente in tutte le loro comuni e private orazioni, e vieppiù ne’ santi sacrifici, e comunioni pregheranno vivamente il Signore, che per il sangue preziosissimo del suo divino Figliuolo si degni ridurre tutta la chiesa greca alla tanto sospirata unione colla santa madre, e maestra di tutte le Chiese, l’apostolica Romana». 

 Il Servo di Dio si adoperò con zelo non solo a favore dei suoi connazionali albanesi, ma anche dei Greci scismatici, che egli voleva vedere rientrare nella Chiesa cattolica: 

 «Il P. Giorgio perciò tutti i mezzi adoprò, per quanto gli fu possibile, che gli scismatici greci del Levante, i quali alla gloria ed alla volontà del Signore sono contrari, fossero ridotti nella strada della verità. Ei sempre si adoperò con carità veramente cristiana per la conversione loro. Grandemente studiossi di come poterli far ritornare nel seno della cattolica Chiesa insin dalla sua fresca età nel seminario di Monreale, quando ardentemente diedesi allo studio della lingua greca, e, ricevuta la laurea dottorale, a quello della Storia del Concilio Fiorentino». Annota ancora il biografo: «Il suo scopo essendo quello di purgarli dai loro errori, e di assoggettarli al dolce giogo della santa romana Chiesa, verso loro usava tutta la possibile carità di un buon cristiano. Comandava perciò a’ Superiori e agli alunni del suo seminario albanese, che andassero spesso a visitarli, verso loro si mostrassero cortesi, dolcemente li trattassero, soavemente l’istruissero, e li animassero a frequentare la parrocchia de’ Greci». 

A tale proposito il biografo riporta un intervento severo di Padre Guzzetta nei confronti di un Seminarista che aveva trattato da scismatico un sacerdote orientale: 

 «Sappi, o figlio, che mia mira è stata nel fondare il Seminario non la santificazione solamente de’ nostri Nazionali, ma di chiamare altresì al seno della Chiesa cattolica que’ poveri Greci scismatici, i quali vivono negli errori di Fozio. Non ista-re dunque nell’avvenire ad usar verso loro de’ rimproveri, acciocché non si scoraggiassero di convivere in Seminario, ma sii con essi caritatevole, ed amoroso».

 Il desiderio del Guzzetta era quello di una grande riconciliazione ecclesiale: 

 «Erano invero le mire del P. Giorgio assai grandi. In mente avea, e pretendea la conversione di tutto l’Oriente e la riconciliazione della Chiesa greca con la latina. Questo fu il suo primario scopo della fondazione in Palermo del Seminario greco-albanese, e nella sua patria della Congregazione dell’oratorio de’ Preti celibi. Egli pensava che i giovani ben educati in Seminario e ben istruiti nelle scienze, nel timore di Dio e negli insegnamenti di Gesù Cristo, abbracciando lo stato ecclesiastico con vita celibe erano per ritirarsi nella maggior parte in Congregazione, e ben esercitandosi nelle sante virtù, poi dalla sacra Congregazione de Propaganda nella conveniente età erano per esser destinati alle missioni dell’Oriente ». 

 Per questo, ad esempio, esortava i Monaci basiliani di Mezzojuso che fossero osservanti stretti della vita monastica orientale ammonendoli a osservare con esattezza non solo i riti liturgici, ma anche le consuetudini monastiche orientali. Li spronava pertanto a «non lasciar giammai l’abito, né la barba, né i lunghi capelli, come hassi in costume presso i Monaci di Oriente ». 

 Era sua convinzione che fosse missione dei greci cattolici la conversione di tutti i greci separati da Roma. 

 Altre notevoli imprese di P. Giorgio furono la creazione di opere di pietà, la promozione alle cariche ecclesiastiche di persone virtuose e dotte, l’opera di consiglio ai Vescovi di Sicilia per la disciplina del clero e la riforma delle loro diocesi. 

 A questa intensa attività apostolica egli associò sempre la sua orazione e l’esercizio delle virtù. 

 Provato da una lunga malattia che lo rese quasi cieco e dall’usura degli anni, P. Giorgio morì il 21 novembre del 1756 all’età di 75 anni. Da Partinico la salma fu trasportata a Palermo nella Chiesa della Congregazione dei Padri Filippini della capitale. Il rimpianto per la sua scomparsa si manifestò non solo nella sua terra e presso i suoi connazionali, ma anche fuori della Sicilia e a Roma, presso il Sommo Pontefice Benedetto XIV e presso i Padri dell’Oratorio di Roma, della Chiesa nuova, i quali solevano chiamarlo «Patriarca dei Greci di Sicilia». Morto in concetto di santità, il processo di beatificazione, dopo una lunga pausa, è stato ripreso nel 2001.

2. Le virtù di P. Guzzetta 

 Dopo aver delineato la vita del Guzzetta, il Libro II della biografia di Giovanni D’Angelo è consacrato a una articolata esposizione delle sue virtù, in primo luogo alla profondità e alla sincerità della sua fede cattolica e del suo attaccamento al Papa e alla deplorazione della divisione esistente con i Greci orientali. A tal riguardo il biografo riporta questo episodio molto significativo: 

 « Un dì il nostro Servo di Dio trovavasi nella Matrice Chiesa di Monreale, divotamente assistendo alla Messa solenne. Or fuvvi un certo, il quale cantandosi il Credo, alle parole Qui ex Patre, Filioque procedit, per ischerzo alle orecchie di lui disse, che quelle parole cantavansi contro la Fede de’ suoi Greci albanesi. Fu ciò bastante a fargli accendere al suo solito il volto, ed a farlo prorompere in alte voci, protestando che la fede de’ suoi Albanesi era la Fede cattolica della Chiesa di Roma». 

 Egli si vantava di essere puro Latino (in realtà intendeva dire: Cattolico) col rito greco, depurato da ogni errore. 

 Altrettanto grande e viva era la sua speranza, la sua fiducia nella Provvidenza divina - la cui presenza benefica sperimentò più volte in casi di necessità spirituali e temporali - e il suo amore verso Dio. 

 Tra le sue devozioni più care c’era la pietà eucaristica, che egli manifestava nella celebrazione quotidiana della Santa Messa e nell’adorazione del Santissimo Sacramento dell’altare. Intensa era anche la sua devozione a Maria, vissuta non solo nella celebrazione delle sue feste ma anche nella recita del Santo Rosario. 

 A tale riguardo il biografo annota: 

 «La semplice rimembranza del nome di Maria riempivagli il cuore di dolcezza e lo trasportava con santo entusiasmo a parlarne coll’espressioni le più tenere e con avere allora il suo volto assai acceso».

 Oltre ai titoli del Rosario, dell’Odigitria, del Buon Consiglio era devotissimo del mistero dell’Immacolata Concezione di Maria, parlandone con ardore e difendendolo contro i negatori mediante il voto di martirio, che a quel tempo era comune anche ai siciliani. 

 Tra le sue virtù umane più spiccate emergeva la sua prudenza, la sua pazienza, la sua temperanza, e soprattutto la sua fortezza, cioè quella costanza nel portare a termine i suoi progetti nonostante le difficoltà e le avversità. 

 Il suo spirito di carità nel venire incontro ai bisogni altrui si univa alla sua cristiana povertà, al distacco dalla cose terrene. Visse poveramente, in perfetta castità e umiltà. 

 Era sommo lo studio che egli metteva per indurre i suoi connazionali a seguire il celibato. Annota il biografo: 

 «Egli loro facea vedere, che un Sacerdote unito in matrimonio difficilmente adempir può gli obblighi del proprio stato, poiché attender deve all’educazione dei propri figli, ed alle loro domestiche faccende. Al contrario però un Sacerdote celibe tutto unito al suo Dio sta sempre pronto con santa indifferenza a seguir prontamente la sua vocazione, non venendo ritardato da alcun impedimento». 

 La biografia del D’Angelo viene conclusa con l’elogio dell’umiltà di Padre Guzzetti:

 «Coronò le virtù tutte del P. Giorgio la sua singolare umiltà. Non la fece egli consistere in qualche esterna dimostrazione, ma con la scorta del Nazianzeno in quella costanza di animo, per cui l’uomo superiore a quanto il mondo, e l’amor proprio gli propone di lusinghevole, e specioso, si diporta con la maggior sublimità di spirito in ogni incontro, e nutrisse frattanto di se stesso nel suo cuore un abiettissimo sentimento». 

 Attribuiva alla Provvidenza la riuscita delle sue opere e continuamente esortava i suoi giovani con queste parole: «Figli miei, siate umili, siate bassi». 

 Sulla stanza più frequentata del Seminario fece scrivere queste parole: «Superbia Graecos dejecit, humilitas subleva-bit» (la superbia umiliò i Greci, l’umiltà li esalterà). 

 Riportiamo il giudizio conclusivo che di P. Guzzetta dà il suo principale biografo: 

 «Le virtù rare del P. Giorgio Guzzetta, i suoi gran meriti, ed i suoi sommi talenti a tale celebrità e buon nome lo innal zarono, che lo resero degno del rispetto, della venerazione e della stima de’ Letterati, de’ Principi, de’ Prelati e delle più di stinte persone in Sicilia, in Napoli, in Roma ed altrove. Eglino più fiate lo colmaron delle più giuste lodi, portavansi a visitar lo in camera per riceverne de’ consigli, riputaron le sue parole altrettanti oracoli della cristiana sapienza, ed il suo buon esem pio stimaron dover essere lo specchio dell’uomo cristiano. In somma egli divenne l’eroe della Sicilia e del Cristianesimo e degno della venerazione de’ secoli e delle nazioni». 

 I Padri dell’Oratorio di Piana delinearono in modo felicissimo la figura del loro fondatore con la seguente iscrizione in latino: 

 «Pater Georgius Guzzetta, Congregationis Oratorii Panormi, huius patrii soli nostrae Congregationis, ac Seminarii Albanensium fundator, foederi graecae cum latina Ecclesia studiosissimus, pauperum pater, juventutis cultor, virorum praestantium ad praeclara munia patronus, vitae innocentia, religione, litteris, linguis, prudentia, cogitandi agendique dexteri tate clarissimus... proinde clarus, superis clarior, sibi vilissimus». 

 Con maggiore brevità ma con altrettanta perspicacia anche i Rettori del Seminario Greco di Palermo, nel 1771, prepararono la seguente iscrizione lapidaria: 

 «Georgio Guzzetta Albanensi, 

 Congregationis Oratorii Panormi Presbytero 

 Quoad ad Graecam Sanctae Romanae Ecclesiae Conciliandam 

 Genti suae seminarium 

 A Carolo III Siciliae rege dotatum erexerit perficiandumque curaverit Parenti Piissimo Albanenses».

 Il sogno profetico di P. Guzzetta e la sua attualità 

 Da questo semplice sguardo biografico il Guzzetta emerge non solo come un personaggio eminente, di alto profilo spiri tuale, ornato di molteplici virtù, ma anche come un uomo di cultura e di azione, educatore di giovani, predicatore, confessore, maestro di novizi, scrittore, fondatore della Congregazione dell’Oratorio a Piana, fondatore a Palermo del Seminario per la formazione degli albanesi. Ma il filo dorato che annoda le sue molteplici iniziative in un unico progetto culturale ed ecclesiale - e i suoi contemporanei lo avevano già notato - era il sogno di realizzare l’unione della Chiesa greca con la Chiesa cattolica. A questa sua utopia egli dedicò tutte le forze della sua intelligenza e della sua creatività, non risparmiando fatiche e disagi e sopportando incomprensioni e umiliazioni. E questo suo sogno egli lo vedeva realizzato mediante sacerdoti greco-albanesi, di rito bizantino, ben formati culturalmente, teologicamente e spiritualmente, che potessero diventare missionari credibili dell’unione tra le chiese ortodosse greche e la Chiesa cattolica. Il Guzzetta si presenta così come un ecumenista ante litteram. Nota giustamente Antonino Paratore: « Questo grande desiderio del Servo di Dio che voleva vedere realizzato, anche se ancora non attualizzato, tuttavia ha portato il clero albanese di Sicilia ad avere una seria preparazione teologica, spirituale e liturgica che ha sortito come effetti la rinascita e la ripresa del rito greco nelle comunità italo-albanesi di Sicilia che ancora oggi esprimono la loro fede secondo la Tradizione greco-bizantina in comunione con la Chiesa di Roma e che per questo motivo sono immensamente grati alla Provvidenza divina». A questo sogno unionistico del Guzzetta si accompagnano altri due elementi che dimostrano anch’essi l’originalità e l’attualità del suo progetto profetico: l’attaccamento e la valorizzazione della cultura della sua patria d’origine e la rivendicazione costante delle inequivocabile identità cattolica del suo popolo, con l’esplicita sottolineatura che, dopo l’invasione turca, la comunità albanese aveva preferito l’esilio in Italia piuttosto che abbandonare la fede della Chiesa cattolica. 

 Per quanto riguarda la valorizzazione della sua comunità albanese si pensi alla fondazione dell’Oratorio a Piana, all’istituzione del Seminario a Palermo per la formazione culturale e spirituale di giovani albanesi, e anche alla sua opera principale “De Albanensibus Italiae rite excolendis...”, rimasta inedita e forse da ritenersi in parte perduta. Di recente, infatti, è stato ritrovato il Libro I, di questo “opus eruditissimum”, che contiene anche il piano dell’intera opera in tre volumi: nel primo l’Autore tratta degli Albanesi d’Italia: numero, origine, costumi, lingua, fede, pietà; nel secondo trattererebbe dei riti greci, della loro antichità e della loro corrispondenza con i riti latini; nel terzo si parlerebbe più in dettaglio dei singoli riti. 

 In quest’opera - almeno nel primo libro rinvenuto - ricorre come un ritornello l’affermazione che la fede degli Albanesi è libera dallo scisma di Fozio e quindi è pura ed è la stessa della Chiesa Cattolica di Roma, alla quale sono sempre rimasti fedeli. 

 In un recente breve ma denso articolo Alberto Venturoli afferma: «Le disposizioni ecclesiastiche di allora favorivano il passaggio di queste popolazioni di rito bizantino al rito latino; ma la Provvidenza voleva salvare il culto Orientale in questi Cristiani e tramite Padre Giorgio riuscì ad assicurare alle Colonie Albanesi di Sicilia un clero formato spiritualmente e liturgicamente nel Seminario e nella Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri di Piana degli Albanesi - da lui fondati. 

 Il rito bizantino ebbe così, tra queste popolazioni, nuovo impulso; vi rifiorirono la pietà religiosa e la vita liturgica, lo studio della lingua e della letteratura albanese: tutto indirizzato alle alte finalità missionarie che furono lo scopo unico della vita del Santo Filippino, finalità riassunte nelle incisive parole scolpite sotto il monumento erettogli dai suoi contemporanei nel Seminario: “ Ad Graecam Sanctae Romanae Ecclesiae conciliandam”». A questa ispirazione, che oggi chiameremmo ecumenica, si devono anche sia la creazione della Diocesi di Piana degli Albanesi, eretta da Papa Pio XI nel 1937, per assicurare in perpetuo l’esistenza del rito bizantino in Sicilia, sia l’Associazione Cattolica Italiana per l’Oriente Cristiano, che sorse a Palermo nel 1929 sotto la presidenza del cardinale Luigi Lavitrano.

 Vittorio Peri, che considera il P. Guzzetta «senza dubbio una delle figure più importanti di questa fiera ed indomita minoranza», rileva al riguardo: «La presenza degli Albanesi in Italia e la loro tenace fedeltà all’originaria tradizione della loro Chiesa orientale hanno costituito per tutta la Chiesa d’Occidente un richiamo concreto e provvidenziale [...] a tener conto delle esigenze di una cattolicità più piena, non solo professata nella dottrina ma realizzata nella prassi». 

 A proposito, poi dell’approvazione del Seminario greco-albanese a Palermo, a Roma, nella Congregazione di Propaganda Fide, c’era un’altra ragione per favorire la creazione di questo centro di studi ecclesiastici: 

 «In una consultazione del 1739 si stabilisce che debbano dichiararsi irregolari e sospesi dal sacerdozio alcuni chierici albanesi della diocesi di Agrigento passati in Levante, secondo un uso che perdurava, per farsi “ordinare dagli scismatici”, contando poi sull’assoluzione che in questi casi la Santa Sede era solita concedere. La Congregazione romana stima “disonore del sacerdozio ed infamia della Nazione” tale consuetudini e ricorda che proprio per troncarla “si è fondato a Palermo un Collegio come quello di Calabria”. Il Seminario cioè si proponeva anche di eliminare o ridurre ogni motivo di diffidenza o di sospetto dottrinale della gerarchia episcopale latina nei confronti degli appartenenti al rito greco, favorendone in tale modo il mantenimento e l’osservanza in Sicilia». L’originalità della figura di P. Guzzetta consiste anche nel fatto che, nonostante che egli avesse ricevuto una formazione interamente latina, prima presso i Gesuiti di Trapani e poi nel Seminario di Monreale - formazione alla quale fu fedele fino alla morte -, la sua intima convinzione era, però, la valorizzazione dell’eredità culturale e liturgica propria della sua gente, nel cui rito era stato battezzato e nella cui devozione era stato educato dai suoi genitori e dal suo parroco: 

 «Tale attaccamento cosciente alla “ sua Chiesa Greca “non era allora un atteggiamento comune o consueto, bensì insolito al punto da essere considerato strano e stravagante in un sacerdote di superiore cultura e con ottime possibilità di affermazione nella società ecclesiastica e politica predominante, che era quella italiana. Il contesto favoriva in tutti i modi il passaggio degli Albanesi di rito orientale al rito maggioritario latino, e non man-cavano sentimenti di ostilità e di disprezzo etnico, oltre che di sospetto dottrinale, da parte dei vescovi e del clero italiano verso questi cristiani, che l’isolamento culturale costringeva in una condizione ecclesiastica e sociale subalterna e poco ben vista. La sussistenza di un clero uxorato; la assenza di centri formativi per i futuri sacerdoti, ignari abitualmente della lingua greca, in cui celebravano la liturgia e i sacramenti (senza dire della lingua e della teologia latina); la decadenza delle consuetudini esposte ad inevitabili ibridismi culturali e disciplinari, come un’osservanza progressivamente meno esatta del rito liturgico; i numerosi pre-giudizi della popolazione non albanese tra cui vivevano: erano altrettanti motivi passibili d’essere considerati origine d’inferiorità e capaci di fare soffrire un cristiano che appartenesse a quella Chiesa amandola come la propria». Facendosi promotore della valorizzazione del patrimonio linguistico, culturale e religioso degli albanesi di rito greco P. Guzzetta voleva superare quel modo superficiale e ignorante con cui spesso i latini vedevano e valutavano gli altri riti. Per questo, nell’operetta pubblicata nel 1772 con lo pseudonimo di Ellenio Agricola, egli giustifica e difende contro un divieto pontificio, l’uso delle monache basiliane del monastero del SS. Salvatore di Palermo, di portare una crocetta d’argento sul petto. 

 La sua lamentela è l’incomprensione e l’ignoranza che si ha da parte anche di persone sagge latine a comprendere il significato degli usi e costumi altrui. Il Guzzetta li paragona alle Là-mie, grossi insetti che vedono e sanno tutto dei tronchi interni degli alberi su cui vivono, ma sono orbi all’esterno. 

 Il Guzzetta pur magnificando la Chiesa greca e i riti greci, tuttavia ci teneva a sottolineare che, diversamente dalla Chiesa greca, la Chiesa albanese, pur adoperando il rito greco, tuttavia era esente da ogni errore e da ogni scisma. Interessante, anche perché coincide con l’orientamento del Guzzetta, l’opera rimasta inedita di p. Paolo Parrino, primo Rettore del Seminario, il cui titolo era: “ De perpetua Ecclesiae Albanensis consensione cum Romana”. In quest’opera si rileva l’originalità degli alba¬nesi, che, nei confronti dei greci, sono autonomi etnicamente, geograficamente, culturalmente e linguisticamente. Grande pena, perciò, procurò al Guzzetta la Bolla Etsi pastoralis di Benedetto XIV, del 25 maggio 1742, contenente pre-scrizioni e divieti per il rito greco in Italia. Veniva proibita, ad esempio, la cosiddetta “ communicatio in sacris “ fra gli Alba¬nesi di rito latino e quelli di rito greco, in tal modo eliminando una tradizione che in Sicilia si seguiva comunemente. 

 Il disagio del Guzzetta consisteva nel fatto che egli vi vedeva una certa sconfessione del suo lavoro di avvicinamento e di comprensione dei due riti, che non dovevano essere considerati rivali o alternativi, ma riconosciuti come aventi pari dignità e valore nel rendere culto a Dio. Inoltre, egli difende i suoi connazionali dal sospetto che si ha nei cofronti dei greci scismatici. Essi - dice con forza il Guzzetta - «non sono più Greci, ma veri e puri Latini col rito greco, depuratissimo di ogni errore, e quello stesso ritengono religiosamente per soli due motivi: il primo per mantenere nella Santa Chiesa un vestigio sacrosanto della primitiva Santa Chiesa Orientale, ed il secondo per trovarsi sempre abili e pronti a giovare alla medesima, ove il Signore si compiaccia una volta di chiamarla all’ubbidienza della Santa Romana Chiesa». 

 Si deve precisare comunque che in Sicilia il governo di Napoli si oppose all’applicazione della Bolla e quindi per molti anni si continuò con la prassi precedente, nonostante i richiami di Propaganda Fide?

 A questo punto non si può non concordare con quanto afferma Domenico Morelli circa le tre intuizioni profetiche del Guzzetta, particolarmente significative oggi. 

 La prima è la necessità oltre che l’utilità di istituzioni che rispondano ai bisogni delle comunità di rito greco, con formazione e personale adeguati. 

 La seconda riguarda la valorizzazione della originalità culturale e spirituale della tradizione greco-albanese d’Italia. Questo è oltremodo utile e arricchente sia per l’intera Chiesa cattolica italiana, sia per il dialogo ecumenico, che oggi ci impone il dovere di risolvere il dramma della divisione con le Chiese orientali e ortodosse separate da Roma.

 La terza intuizione profetica del Guzzetta, oggi forse più attuale che mai, riguarda il ricordo struggente che egli aveva per la sua Albania, l’antica Madre: «Era vivo nel Guzzetta la consapevolezza che la Chiesa italo-albanese, come ramo di credenti albanesi che nel secolo XVI si sono stabiliti in Italia, dovesse rimanere legata alla terra d’origine». 

 Dopo il lungo periodo della turcocrazia e dopo il brutale regime comunista, la riconquistata libertà della nazione albanese richiama tutti i suoi figli emigrati altrove a ricordarsi della loro “terra patria” e soprattutto a riportare in essa la fede cattolica di un tempo. 

 In conclusione, raccogliamo dallo stesso P. Guzzetta il simbolismo dello stemma da lui scelto per il Seminario: un cuore posto in fiamma tra due rami, uno di palma e l’altro di olivo, con la significativa scritta in greco e in latino di una frase di san Massimo il Confessore, che diceva: Diligo Romanos ut eius-dem fidei, Graecos ut eiusdem linguae (amo i Romani in quanto della stessa fede, e i Greci in quanto della stessa lingua). L’ulivo, poi, era segno della agognata riconciliazione stabile e piena della Chiesa Greca con quella Latina, mentre la palma simboleggiava la vittoria della Chiesa intera con la riconciliazione e il superamento dello scisma. Speriamo e preghiamo che questo sogno di questo eminente figlio della Chiesa diventi realtà, anche con la vostra preziosa e oggi pienamente riconosciuta collaborazione.


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