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venerdì 25 marzo 2022

Gaetano Salvemini e la democrazia

Gaetano Salvemini

 Gaetano Salvemini, ritornando dall’esilio negli Usa dopo il crollo del fascismo (25 luglio '43) produsse alcune riflessioni in materia di elezioni a suffragio universale e di democrazia rappresentativa. Ci piace riassumere per il blog un testo di Gaetano Sorace tempo fa riportato su Avanti!love.

1) “Il diritto di voto non rende il cittadino né più intelligente né più saggio. Né il suffragio universale è il toccasana di tutti i mali… Una elezione è una rivoluzione omeopatica, o una rivoluzione risparmiata. E il suffragio universale è semplicemente uno specchio, nel quale si riflette la realtà del momento in cui viene usato. Se gli elettori non conoscono i loro diritti o non sanno che farsene, il suffragio universale produrrà la fine dello stesso suffragio universale. Quando la realtà è barbara, lo specchio rifletterà una immagine barbara”.

2) da grande intellettuale e politico, Salvemini nel 1952  sulla rivista “Il Ponte” diretta da Piero Calamandrei, in un saggio dal titolo “Fu l’Italia prefascista una democrazia?” rilesse il periodo dei governi di Giolitti che affondano le radici nel Risorgimento per affrontare il nodo del rapporto tra la crisi profonda delle istituzioni liberali, precarie e instabili nei primi anni del Novecento, e il conseguente avvento del fascismo con l’avvento della dittatura e il  consenso popolare raggiunto dal regime di Mussolini che fu invece definito dal Vaticano “uomo della Provvidenza”.

3) Salvemini ragiona sulla fragilità delle istituzioni rappresentative a causa dell’assenza e della carenza di un forte senso civile democratico. Insiste sul tema  della responsabilità etica di una buona politica per tentare di dare risposte alle domande popolari di riforme, di miglioramenti della qualità della vita e del lavoro, di ricucitura degli squilibri economici che determinano fratture nella società e rancori nelle comunità. Tutti riferimenti espliciti al divario Nord/Sud.

4) La sua è stata una  lezione della e sulla nostra vita democratica. Nel saggio spuntano le sue critiche  (e dell’amico Piero Gobetti) a Giolitti, l’ultimo statista liberale,  al suo tiepido e moderato riformismo che non  seppe comprendere il carattere positivo delle proteste sociali nel Mezzogiorno. Nel saggio Salvemini muove critiche pure a Benedetto Croce e a Palmiro Togliatti affascinati entrambi dalle relazioni tra Giolitti e il riformismo socialista. Egli riafferma invece l’idea di una democrazia che sappia superare le tentazioni oligarchiche, cioè la “rivoluzione del ricco”.

5) Rivolge “un invito esplicito, come fa notare il curatore delle "riflessioni" Torchiani, a non dimenticare il ruolo delle minoranze organizzate che, in momenti difficili hanno saputo dar prova di coraggio e lungimiranza. A questi punti di riferimento occorre guardare quando l’orizzonte si fa inquietante”. Come nel Risorgimento italiano furono le minoranze che mossero quei movimenti che sognarono l’Italia unita. Il ruolo delle minoranze, viene letto come forza essenziale di una democrazia non tanto efficiente quanto soprattutto efficace, nella capacità di rappresentanza della reale sostanza dei problemi e nell’attitudine a dare, a quei problemi, risposte di buon governo.

6) Salvemini fu, in quegli anni Cinquanta di ricostruzione, una personalità di primo piano che scrisse anche su “Il Mondo”, il settimanale diretto da Mario Pannunzio. Fu naturalmente “antifascista in nome dell’intelligenza, anticomunista in nome della libertà, anticlericale in nome della ragione”. 

7) La politica italiana e le istituzioni repubblicane si muovevano -allora- a fatica senza riuscire a dare risposte esaurienti alle innovazioni in atto.  Il limite fondamentale è stato, per Salvemini, il fatto che il riformismo non è mai stato accolto di buon grado sullo scenario politico italiano mentre le ideologie con le parole d’ordine e la demagogia vuota sono state invece issate a casa nostra come belle bandiere. E -diciamo noi- non ha conosciuto il recente fenomeno 5Stelle !

8) La lezione politica di Salvemini fu soprattutto di protesa sulla necessità di non ridurre la democrazia rappresentativa al pur indispensabile sistema di voto del suffragio universale ma di viverla nella sua complessità: istituzioni, sistema di pesi e contrappesi, autonomie e relative responsabilità (a cominciare dalla magistratura), libertà di stampa, formazione dell’opinione pubblica, scuola, funzione fondamentale delle forze sociali, legami tra diritti e doveri nelle dinamiche delle relazioni industriali e del welfare State. Il sistema democratico egli lo interpretò come governo delle complessità, partecipazione, consapevolezza. 

9) Nel momento in cui con Draghi stanno tramontando le scorciatoie fasulle e false di populismo e sovranismo, con la farsa dell’idea del parlamento “da aprire come una scatoletta di tonno” oppure l’improbabile o improponibile idea del sorteggio dei parlamentari con cui sostituire il voto consapevole,  bisogna -alla luce del pensiero di Salvemini- ritornare alla politica, ossia alla conoscenza, alla competenza, alla partecipazione, con un forte radicamento di valori che rappresenti gli interessi generali di una comunità.

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