Dal libro, curato dall'amico e già compagno di scuola, Antonino G. Marchese, "Insula -Frammenti di cultura siciliana", estrapolo una pagina dal titolo "Un'opera inedita di Benedetto Marabitti a Contessa Entellina: la statua lignea della Madonna della Favara".
(II' parte)
Sempre dagli atti del notaio Schirò (20 marzo 1650, 3' indizione) emerge adesso la figura di un altro intagliatore chiusese quale Giuseppe Di Lorenzo, il quale si obbliga con Antonino Musacchia fu Teodoro, Aloisio Vitagliotta, Giovanni Chetta, Pietro Chetta, Andrea Schirò, Biagio Xiamira e Giovanni Franco di Contessa "ut dicitur magistrabilmente farci la grata della Madonna della Favara di questa terra conforme lo designo sottoscritto di mia propria mano tutta di nuci et auto novi palmi...conforme quella di Santo Vito di Chiusa".
Se consideriamo che quest'ultimo documento precede di oltre un anno il precedente, siamo portati a dedurre che una immagine della Madonna della Favara doveva esistere già sin dalla erezione della chiesa di Maria SS. delle Grazie, documentata all'inizio del 1600, "come risulta da un decreto del vescovo di Girgenti del I° giugno 1603, che autorizzava l'uso della chiesa ad una confraternita intitolata a S. Maria della Favara". Così scrive il Raviotta, il quale riporta anche la tradizione orale secondo la quale "l'ignoto artista (che ora sappiamo essere il Marabitti), scolpita la statua, non riusciva ad ideare un volto degno della Madonna: mentre era preso da tale pensiero si addormentò e quando si svegliò trovò la statua col bellissimo volto che si ammira oggi".
Tale topos è legato in un certo qual modo alla tipicità della Madonna di Contessa che risulta essere un esemplare più unico che raro nella storia della scultura lignea siciliana tra Rinascimento, Maniera e Barocco. La Madonna della Favara risulta infatti un mix fra la tradizione latina della Madonna col Bambino stante, ossia di quei gruppi materni ed intensi di impianto rinascimentale-manieristico (Laurana, Gagini, Ferraro, Lo Cascio) e la tradizione bizantina della Madonna Odigitrioa (Colei che "indica la via"), un'immagine assai diffusa nell'Oriente cristiano ma anche nel continente italiano e in Sicilia.
La Madonna di Contessa, raffigurata stante, indica con la mano destra il suo diletto Figlio seduto sul suo braccio sinistro, presentandolo come Redentore. Questi accenna con la mano destra al gesto di benedizione ("alla greca") mentre con la mano sinistra tiene un rotolo che nei cartigli delle analoghe composizioni delle icone della Madre di Dio (Madonna di S. Luca o Odighitria) porta scritto "Lo Spirito del Signore è su di me e mi ha unto".
Del resto la tradizione bizantina della Vergine Odighitria è rappresentata a Contessa Entellina da un capolavoro dell'arte musiva medievale siciliana quale la cosiddetta "Odighitria di Calatamauro" (sec. III), oggi custodita nella Galleria Regionale di Palazzo Abatellis (Palermo), ritenuta dal Demus "di pura bottega greca" per i legami con i mosaici della Kahrie Giami di Costantinopoli.
Una siffatta immagine della Madonna della Favara doveva dunque rispondere alle esigenze di culto dei contessioti, distinti sin dalla nascita del comune nelle due etnie di "greci" e "latini" e alla loro coesistenza pacifica, sebbene nel 1698, con la nascita della parrocchia latina, la chiesa della Madonna della Favara venisse ceduta ai latini dai greci, i quali però si riservavano alcuni diritti e preminenze per il clero greco, tra cui la celebrazione con vespro e processione della "festa principale del dì 8settembre".
E' ancora da segnalare come la statua della Madonna della Favara, restaurata nel 1978, fosse stata dotata nel 1838 di una vara lignea processionale a forma di baldacchino, opera del maestro palermitano Filippo Serio, che ci ricorda nell'assetto compositivo quella del Crocifisso della chiesa madre di Bisacquino, opera tardosettecentesca del Bellacera.
Abbiamo avuto modo già di precisare in altra sede come il "romanus" Benedetto Marabitti, autore della statua in esame, sia stato il capostipite del ramo dei Marabitti di Sicilia, che annoverano oltre al famoso scultore in marmo Francesco Ignazio (1719-1797) anche quel Pietro Marabitti autore della pregevolissima statua lignea dell'Immacolata (1734) della Chiesa Madre di Misilmeri.
Nell'opera di Contessa Benedetto Marabitti dà comunque un ottimo saggio della sua esperienza artistica, concretizzatasi in varie opere (purtroppo perdute) eseguite per vari centri viciniori a quello di sua residenza (Chiusa Sclafani, ove ebbe casa e bottega), tra cui Giuliana, Bisacquino e Palazzo Adriano. In quest'ultimo centro sussiste tuttavia a tutt'oggi una sua opera certa quale la vara del Crocifisso (1639) della Madrice greca, che sintetizza nel suo stile protobarocco echi della linea rinascimentale italiana e del plateresco spagnolo.
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