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sabato 26 marzo 2022

Era il 26 marzo

 2000

Vladimir Putin, già presidente ad interim dal 31 dicembre 1999, viene eletto presidente della Federazione russa.

Dalla Rivista Limes riportiamo:

L’ultimo giorno dello scorso millennio saliva il gradino più alto del Cremlino un giovane leader sconosciuto ai più, che presto avrebbe impresso alla Russia il suo indelebile marchio di fabbrica, rendendola di nuovo riconoscibile agli occhi del mondo come potenza di alto rango. Il quarantasettenne Vladimir Vladimirovič Putin fa ingresso nella stanza dei bottoni poco prima che a Mosca scocchi la mezzanotte, scelto come presidente ad interim dal suo predecessore dimissionario e dalla cerchia degli amici pietroburghesi decisi a insediare i gangli vitali del potere russo. Da quel momento il destino della Federazione e del nuovo capo di Stato si legano indissolubilmente. Anche quando dovrà uscire dal Cremlino, come costituzione impone, alla fine del secondo mandato, per poi tornare al suo posto quattro anni più tardi. Un ventennio complessivo, alla guida di una Russia lasciatagli in eredità già tramortita dalla fine dell’esperienza sovietica e poi traumatizzata dal decennio eltsiniano.      

 Un lungo lasso di tempo scandito da problemi lasciati aperti: mettere il paese in sicurezza ed evitarne la disgregazione, creare benessere per una popolazione delusa dall’approccio fallimentare a democrazia e libero mercato, tornare a contare nel palcoscenico internazionale. In breve: curare gli interessi vitali del paese.

Compito non facile per uno strutturato uomo dei servizi con poca esperienza nella gestione della cosa pubblica. Un percorso ad ostacoli che ha comportato per il leader russo successi e rovesci, però senza dimenticare l’obiettivo primario: riposizionare la Federazione nelle parti alte della classifica, presupposto indispensabile per evitarne il tracollo e la frantumazione. Un impegno titanico, per affrontare il quale il presidente russo è stato costretto anche a cambiare traiettoria.

La prima fase del suo governo, che possiamo far partire dall’esordio al Cremlino in quel lontano 1999, resta in linea con l’apertura all’Occidente (e soprattutto agli Stati Uniti) portata avanti da Boris El’cin durante la sua presidenza. Il nuovo leader assume un atteggiamento differente, da vero padrone di casa, rispetto a quello del suo predecessore nei confronti del vincitore della guerra fredda. Ma i tentativi di imbastire col Numero Uno un rapporto paritario non andranno a buon fine. Nel giro di pochi anni la Russia osserva impotente l’allargamento verso est dell’Alleanza atlantica e dell’Unione europea, mentre in alcune repubbliche ex sovietiche scoppiano cromatiche e “spontanee” rivolte per strapparle definitivamente all’influenza di Mosca.

Col discorso di Monaco del 2007, Putin chiarisce al mondo che la distanza tra il suo paese e l’Occidente stia aumentando, chiudendo la prima fase alla guida della Federazione. Un periodo segnato in positivo dall’uscita dal baratro finanziario, grazie soprattutto agli alti prezzi del petrolio; dall’aver evitato il rischio di sgretolamento dovuto a spinte indipendentiste interne, vedi seconda guerra russo-cecena; e dal parziale ritorno a contare nel mondo. In negativo si registra la mancata opportunità di avviare una corposa riforma economica e una seria ristrutturazione industriale, lasciando ai soli idrocarburi il compito di produrre ricchezza; l’aver permesso a una ristretta cerchia di potenti di curare i propri interessi più degli affari di Stato, con la fuga oltreconfine di ingentissime quantità di denaro; il fallimento della tentata apertura all’Occidente.

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