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lunedì 28 marzo 2022

Contessa Entellina. Ricordi e realtà siciliane

Ricordi sull'arte di arranciarsi,

per la sopravvivenza.

Esiste un perchè dell'impotenza della politica?

 Negli anni sessanta del Novecento, nel decennio precedente il terremoto del gennaio 1968, a Contessa Entellina la gran parte della popolazione era socialmente ed economicamente "gente povera". Rientrava in questa vasta area di popolazione, ben superiore al novanta per cento dei residenti, anche chi possedeva una salma di terra, e però erroneamente ed egoisticamente veniva da taluni classificato benestante.

Ancora negli anni successivi
alla seconda guerra mondiale
nelle grandi città della Sicilia
era difficile disporre del
"pane quotidiano".

La foto riguarda Palermo

 L'atmosfera di località rurale e di realtà del precario lo si coglieva  nel fatto che non vi era strada dove non ci si imbatteva, accanto agli ingressi delle povere e carenti case, in gabbie per conigli, o soprattutto, per galline. Le galline però, venivano tenute, generalmente, libere per strada nel presupposto che di tanto in tanto le casalinghe riuscivano ad intrattenerle spolverando all'esterno, appunto per strada, le tovaglie da tavola su cui erano stati consumati -in linea generale- poveri pasti.

 Nella  gran parte dei residenti -allora-  esisteva la cultura della sopravvivenza, o, come spesso si sentiva riferire in piazza, del "ciascuno è tenuto ad industriarsi" per tirare avanti. Basta ricordare -ne abbiamo rievocata l'esistenza in pagine precedenti- che ancora negli anni settanta, a processo di ricostruzione post-terremoto non ancora avviato -proprio  per industriarsi- a Contessa esistevano oltre ottanta licenze di esercizi commerciali, che in realtà erano piccolissimi ambienti dove si vendevano povere merci; era quello un modo di "industriarsi". Oltre a quell'ottantina di licenze del commercio a posto fisso vi erano altre decine di licenze di ambulanti.

 Sta in queste righe rievocative la ragione dell'emigrazione di massa degli anni sessanta/settanta, bloccata solo temporaneamente negli anni ottanta del Novecento grazie agli abbondanti finanziamenti pubblici destinati alla Ricostruzione post-terremoto. Ricostruzione limitata ai fabbricati ma non estesi ad un nuovo e diverso assetto produttivo che consentisse una discreta, se non prospera, sopravvivenza. 

 Sta -ancora-  su quanto sommariamente rievocato su queste poche righe la ragione dell'emigrazione persistente -di massa- dei contessioti, che in Sicilia ha toccato uno dei primati percentualmente più elevati. Lo abbiamo ricordato in altre pagine: ai primi dell'Ottocento i Borboni concordarono col governo portoghese la cessione di alcune centinaia di carcerati dell'Isola destinati, in piena libertà, a ripopolare il Brasile. A Contessa, dalla autorità civica di allora, furono ceduti poco meno di dieci carcerati locali che -conseguentemente- al loro seguito portarono nel lontano paese sudamericano quasi un centinaio di parenti. Tutti trasferitisi al seguito dei parenti "liberati, a condizione del trasferimento".

 Negli anni successivi alla fine del feudalesimo (1820), altre centinaia di persone del luogo partirono alla volta di New Orleans. La più massiccia delle emigrazioni -sempre in direzione di New Orleans- avvenne però successivamente all'Unità d'Italia e si protrasse fino a tutti gli anni anteriori all'insediamento del Fascismo.

 L'emigrazione locale riprenderà vigore negli anni cinquanta del Novecento e si accentuerà nuovamente nei primi anni del dopo terremoto, assumendo -fra tante- persino la direzione della lontana Australia. Attenuatosi durante il processo della "Ricostruzione" post-terremoto delle abitazioni, il flusso migratorio ha -quindi- nuovamente accelerato il ritmo fino a comprendere gente professionalmente formata e qualificata. Ed arriviamo ai nostri giorni -post ricostruzione edilizia- con una realtà abitativa -a Contessa Entellina- capiente di ottomila persone (dati Istat), con però millecinquecento residenti anagrafici e con meno di mille effettivamente qui domiciliati.

 Che dire? Che in Sicilia la "politica" non è ancora conosciuta come cultura del saper costruire il futuro. La si conosce come l'arte dell'ego. 

 Purtroppo !

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