La Repubblica-Palermo
PALERMO.
Cosa è la mafia oggi?
«È cambiata
ma è cambiata meno del mondo che ha intorno. Ed è nascosta come sempre nelle
pieghe della mala politica e della mala economia. Certo, nell'era corleonese si
è clamorosamente palesata con i suoi misfatti. Ma quell'era è finita, la guerra
non c'è più. La Repubblica italiana è uscita da quella stagione di emergenza
estrema».
Professore Salvatore Lupo è almeno dal 2000 che tutti continuano a
ripetere che la mafia si è "inabissata", che è
"invisibile".
«Nel corso della sua lunga storia, la mafia ha più che
altro cercato di mantenersi coperta. Ha sempre saputo che, se le autorità o
l'opinione pubblica non la cercano, non la vedono neanche. A meno che non si
riveli essa stessa con le armi o con le bombe, come ha fatto per un ventennio.
Oggi semmai nessuno ci può più dire che la mafia non esiste.
In passato tanti
siciliani, nei ranghi della classe dirigente ma non solo, l'hanno fatto. Magari
per pruderie regionalistica, perché le polemiche sul tema suonavano come
un'offesa alla sicilianità. La fine di questa cultura omertosa è stata anche
causata da una repressione molto forte a partire dalla metà degli anni '80. Si
sono segnati risultati senza precedenti anche rispetto al molto celebrato, ma
in realtà blando, periodo fascista.
Lo dico da storico che ha studiato quelle
vicende a fondo: la maggior parte degli imputati dei processi del '28 e del '29
furono oggetto di leggere condanne, ed erano già fuori nel '31 per amnistia,
qualcuno andò al confino ed era già al lavoro già negli anni '30».
Questa sua
affermazione va dritta al cuore del problema. Da più parti si dice che dopo le
stragi del '92 la mafia sia stata colpita ma solo nella sua struttura militare,
non in quella "politica". È andata così?
«Non mi pare che nella
considerazione di questo fenomeno possa essere introdotta una distinzione così
netta. La mafia è un incrocio di criminalità violenta, politica e affari. Lo
era tra '800 e '900, quando i mafiosi erano uomini di fiducia dei proprietari
fondiari. "Facinorosi della classe media", li chiamava Franchetti nel
1877. Lo era anche dopo, quando i mafiosi servivano da terminale periferico di macchine
politico-elettorali. Non possiamo insistere su schemi dicotomici come quelli
cui lei accennava. Riveleremmo un'incapacità di fondo di capire di che si
tratta».
Ci spieghi lei di che si tratta.
«La mafia è stata sempre un potere
minore rispetto a quello ufficiale dello Stato e delle élite sociali. Dobbiamo
considerare l'era dei Corleonesi come una parentesi nella storia della mafia.
La stagione del terrorismo mafioso è terminata, spero definitivamente. Io non
posso certo prevedere il futuro, però non ci sono elementi che indichino
ritorni a quel passato tragico, ve ne sono invece che indicano il contrario.
Quella guerra è finita. Il numero degli omicidi in questo Paese è drasticamente
diminuito, il Mezzogiorno sta nella media nazionale, in Sicilia si ammazza meno
che in Lombardia. Se penso al 1991...».
Perché proprio al 1991 ?
«Perché
quell'anno, m Italia, c'è stato il picco degli omicidi per cause riconducibili
alla criminalità organizzata: 700. Praticamente quasi il doppio dei morti di
violenza politica - 490 - registrati in tutti gli anni di piombo che vanno dal
1969 al 1985. L'impatto delle mafie sulla storia generale italiana è stato
enorme. Poi lo Stato ha reagito».
Dunque, secondo lei, lo Stato ha vinto e la
mafia ha perso. Molti però dicono che c'è una nuova mafia...
«Sì, e allora?
Questo non cancella ciò che è avvenuto: uno scontro tremendo conclusosi con
l'annientamento del gruppo di comando di Cosa nostra. Si tratta di una vittoria
transitoria? Ciò non toglie che sia storicamente molto rilevante. Niente
trionfalismi, certo. Lo stato di salute cagionevole (uso un eufemismo) della
democrazia e della morale pubblica in Italia, e in particolare in Sicilia, esclude rivolgimenti palingenetici.
Però non è giusto ne utile dimenticare che questa nostra epoca è diversa da
quella sanguinosa di 35 anni fa. C'è un pezzo di opinione pubblica che ragiona
come se quei fatti tragici fossero avvenuti ieri, anzi che si sente come
bloccata in quel passato. Vogliamo ammetterlo che tanti sforzi, tanti sacrifici
- anche della vita - sono serviti a qualcosa? È paradossale e frustrante che
uno dei pochi risultati conseguiti in questo Paese non sia riconosciuto».
Chiaro, i fatti sono fatti: ma perché c'è questo rifiuto?
«Perché l'Antimafia
più generosa e ideologica non si accontenta di sapere Riina, Provenzano e soci
in galera. Il risultato oggi, una volta ottenuto, appare piccolo: ma non così
appariva quando sembrava impossibile conseguirlo, nel 1985 o nel 1991!
Perché
resta inappagata la nostra esigenza di buona politica e buona economia, e non
troviamo un altro bersaglio che sia adeguato al nostro tempo».
Le voci dal di
dentro, già dopo il 1992, svelavano "Cose Mondiali"...
«I sistemi
criminali di scala planetaria e senza volto, il complotto universale? Lasciamo
perdere. Troppi osservatori ed interpreti, anche in buonafede, cadono nel mito
dell'onnipotenza della mafia. Troppi danno credito ai mafiosi più o meno
pentiti, che si raccontano come se ogni essere umano e ogni forza istituzionale
devono essere sempre, per forza, "nelle loro mani". Questa retorica
rischia di paralizzarci. La verità è che ogni mafia può essere battuta e, in
gran parte, quella che abbiamo imparato a chiamare Cosa nostra è stata battuta.
Fermo restando che, purtroppo, ogni vittoria può di seguito trasformarsi in
sconfitta».
Che fine hanno fatto i patrimoni accumulati con i grandi traffici?
«Da qualche parte saranno. E saranno attivi. Come molti degli imprenditori, dei
professionisti, e naturalmente dei politici, già interni alla rete mafiosa.
Attivi e più liberi di muoversi in proprio, ora che i gruppi di fuoco
corleonesi non li tengono più sotto il mirino. Ma non è una nuova mafia.
Diciamo meglio che si tratta dei residui della vecchia».
Come al solito
bisogna seguire l'odore dei soldi.
«E bisogna seguire anche le tracce dei
trasformismi. In una ricerca sull'economia criminale coordinata dal mio collega
Rocco Sciarrone dal titolo Alleanze nell'ombra, ad esempio, scopriamo che tutte
le imprese top della connection mafiosa in provincia di Palermo hanno aderito
ad associazioni antiracket o antimafia».
Nessun commento:
Posta un commento