L’idea del governo è quella di considerare le pensioni
di reversibilità come prestazioni assistenziali e non più previdenziali.
Come ben sappiamo le prestazioni previdenziali sono
legate al reddito (e all’Isee) e non ai contributi versati dal coniuge defunto.
La polemica sulle pensioni di reversibilità per il
ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, «è totalmente infondata». Ma nel merito
si limita a fare salve le prestazioni in essere. Segno che il governo vuole
effettivamente rivedere il meccanismo.
Poletti ha sottolineato che «la proposta di legge
delega del governo lascia esplicitamente intatti tutti i trattamenti in essere»
mentre «per il futuro non è allo studio nessun intervento sulle pensioni di
reversibilità e tutto quello che la delega si propone è il superamento di
sovrapposizioni e situazioni anomale». Il governo, secondo quanto ribadito da Poletti,
vorrebbe «dare e non togliere: per questo, per contrastare la povertà, nella
legge di stabilità è previsto lo stanziamento di 600 milioni per il 2016 e di 1
miliardo strutturale a partire dal 2017».
Il punto è che con il ddl approvato
dal Consiglio dei ministri alla fine di gennaio, il meccanismo è destinato a
cambiare prevedendo che a giustificare l’erogazione delle pensioni di
reversibilità non saranno più i contributi versati da parte del lavoratore che
avrebbe avuto diritto all’assegno se non fosse morto, ma il reddito o lo stato
di bisogno dei familiari beneficiari. O, ancora, altri parametri, visto che il
governo aveva anche annunciato di voler mettere mano al problema delle
reversibilità delle badanti quarantenni o cinquantenni in cerca di fortuna a
spese dell’Inps.
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