GIORNALE DI SICILA
SAMBUCA. Se con la sua durissima omelia di
domenica scorsa sulle vicende della sala operatoria dell'ospedale civico di
Sciacca, l'arciprete di Sambuca, Don Lillo Di Salvo, intendeva scuotere le acque stagnanti del mondo politico agrigentino e siciliano, i fatti dimostrano
che c'è riuscito. Moltissimi i commenti prò e contro sul web.
Risulta inoltre
che durante le votazioni per la legge finanziaria di martedi scorso, tra i
parlamentari ci siano stati molti mugugni all'Ars. Un risentito commento
ufficiale viene dall'on Margherita La Rocca: "Leggo (sul quotidiano La
Sicilia ndr) ciò che doveva essere l'omelia di una domenica di quaresima e ne
resto colpita per i toni e i contenuti. Le parole usate da don Lillo Di Salvo,
arciprete di Sambuca, non mi coinvolgono come politico ma mi feriscono
fortemente come cattolica..... Ricordo a don Lillo e a me stessa, che.......
bisogna, la nostra coscienza cristiana lo impone, fare nomi, denunce, atti
formali. Sparare nel mucchio equivale a "diffamare" chi cerca ogni
giorno di fare il proprio dovere con impegno e coerenza. Da credente, poi, mi
sento offesa dalle parole pronunciate.
Da un uomo prima, e da un pastore, poi,
mi aspetto un'analisi attenta, vigile e chiara che guardi ai problemi che
purtroppo ci sono e non solo in sanità e a dare un concreto contributo. Si può
svolgere al meglio la propria missione senza necessariamente inveire o augurare
la morte. Inoltre, utilizzare toni così accesi equivale a seminare nel cuore di
chi ascolta odio e rabbia.... ". Don Lillo, nel merito, si è così
espresso: "Farei volentieri a meno di rispondere alla nota dell'on. La
Rocca che, personalmente, stimo ed apprezzo per l'impegno con cui esplica il
suo mandato e la concreta solidarietà che, da fervente cristiana, assieme al
marito, il noto cardiochirurgo Giovanni Ruvolo, dimostra nei confronti dei più
deboli e dei diseredati. Tuttavia, la mia missione di modestissimo servo di Dio
mi impone di far chiarezza su) senso delle mie parole. Mi esprimo con un
linguaggio disadorno, semplicissimo, sforzandomi di seguire così l'insegnamento
di Gesù. Se comunemente l'espressione "il Signore possa chiamare a
sé" viene intesa come "augurare la morte" siamo veramente ad
anni luce di distanza da quello che volevo dire.Mi preme sottolineare che un
sacerdote non prega mai il Signore per augurare la morte, bensì per concedere
la grazia della vita, per lenire le sofferenze. Nel contesto liturgico della
seconda domenica di quaresima, intendevo semplicemente dire "il Signore
chiami a sé i politici per illuminarli, per guidarl, come Gesù ha fatto con gli
apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo sul monte Tabor, affinchè esplichino il
proprio mandato per la concreta attuazione del bene comune, per riportare la
Politica, con la P maiuscola, alla sua essenziale peculiarità di servizio
disinteressato nei confronti del popolo sovrano che, col proprio voto, ha
conferito loro il potere di rappresentanza. Che poi l'attuale classe politica e
dirigente, tranne le dovute eccezioni, sia diventata una casta ad alto tasso di
criminalità è un dato incontestabile. Preghiamo quindi con tutto il cuore il
Signore perché come afferma all'art. 3 la nostra Costituzione, i politici si
adoperino concretamente per "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana". Giuseppe Merlo
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