Per quale motivo muore una storia d’amicizia ?
Secondo il rapporto
«The Way We are now» (come siamo adesso), nel 2014 circa 4,7 milioni di
individui in Gran Bretagna hanno ammesso di non avere un vero amico.
Nel 2005, una persona
su quattro — fra le 1500 intervistate in Italia — non era riuscita a trovare il
nome di un confidente da citare all’intervistatore.
L’istantanea globale è
quella che nel terzo millennio per "amicizia" si intende
l'instancabile collezione di like e followers.
Oggi come oggi la
gente, giovani compresi, è divenuta pigra nel coltivare amicizie in carne e
ossa.
Sembra
che le amicizie, anche quelle più durature, non superino lo scoglio della
comunicazione non verbale ed infatti si è amici quasi quasi solamente su facebok, al punto che le sfumature si perdono nella sintesi di una email o di un post su
Facebook.
Lo psicologo Frederic Luskin, segue da anni
all’Università di Stanford il «progetto perdono», tra i capisaldi per
salvare una amicizia non sa fare altro che attingere nel Vangelo ed aggiungere: il
perdono abbassa la pressione sanguigna, riduce la depressione e ha un effetto
positivo sul sistema nervoso.
Ma
i rapporti, mai recuperati, tra ex amici dimostrano che tornare indietro
non è sempre facile: nessuno è disposto ad inghiottire veleno.
Gli psicologi sostengono che è molto meglio salvare
per i capelli l’amicizia che sta morendo, quando ancora non è morta.
Bisogna intervenire prima che il
conflitto diventi crisi, scrive Elizabeth
Bernstein, bisogna fare un respiro profondo e qualora si è arrabbiati è
bene pigliarsi il tempo per calmarsi, pensando se conviene veramente porre
fine alla amicizia.
Se la risposta è sì, prima di tagliare, è comunque bene creare
delle fasi interlocutorie. L'ultimatum di per sè sta a significare che si è pronti
a perdere per davvero chi si riteneva fosse amico.
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