22 Febbraio
A Danzica il 22 Febbraio 1788 nasce Arthur Shopenhauer, un dei grandi filosofi tedeschi.
Fondamentalmente in pieno accordo con i dettami della sua filosofia, manifestò un sempre più acuto disagio nei confronti dei contatti umani (ciò che gli procurò, in città, la fama di irriducibile misantropo) e uno scarso interesse, almeno in via ufficiale, per le vicende politiche dell’epoca quali furono, ad esempio, i moti rivoluzionari del 1848; eppure pare che proprio alla vigilia della sua scomparsa fosse interessato ai problemi politici dell’unità italiana negli anni sessanta.
I tardi riconoscimenti di critica e pubblico servirono, suppositivamente, ad attenuare i tratti più intransigenti del carattere del filosofo, ciò che gli procurò negli ultimi anni della sua esistenza una ristretta, ma interessata e fedelissima cerchia di (come egli stesso amò definirli) devoti “apostoli”, tra cui il compositore Wagner.
Contesta nei riguardi della teoria della coincidenza fra religione e filosofia, sostenendo che un uomo religioso non ha bisogno di filosofia, mentre il vero filosofo non cerca sostegni (Schopenhauer paragonerà le religioni ad una sorta di “stampella” per spiriti inetti) ma procede libero da imposture dottrinali, affrontando ogni pericolo.
La tradizione cristiano-giudaica trova un senso alla nostra vita postulando l’esistenza di un Dio, ma secondo Schopenhauer, questo Dio si dovrebbe riferire a un essere conoscente che abbia voluto creare il mondo, cioè un essere che ha elargito agli uomini come un dono un tale miserevole stato di cose.
La prova fisico-teleologica kantiana dell’esistenza di un Dio architetto di un universo ordinato, apprezzata come la più intuitiva dal senso comune e da filosofi come David Hume e Voltaire che la riteneva «la prova delle prove», viene invece contestata da Schopenhauer che la giudica non diversa dalla prova “keraunologica”, che si basa sul terrore del fulmine (keraunos in greco), per la quale gli ignoranti credevano nell’esistenza di Zeus. Un mondo così pervaso dal male potrebbe portare finalisticamente a credere nell’esistenza di un Dio se non concependolo come un Essere supremamente malvagio.
E se si obietta che la perfezione degli organismi viventi necessariamente deve essere riferita a un Dio perfetto creatore, Schopenhauer risponde che l’idea finalistica della perfezione appartiene all’intelletto, ma la natura di per sé non possiede il concetto di fine, essa è l’oggettivazione della volontà cieca e irrazionale: sono gli uomini che cercano di dare un senso alla loro vita finalizzandola a un essere superiore che non può esistere. La conseguenza della assenza di finalità e dell’irrazionalità della volontà è l’insensatezza del mondo stesso e della vita di tutti gli esseri viventi in esso. È la volontà di vita – che in ogni cosa vuole realizzarsi nel suo grado, nella sua idea – a creare il mondo così come ci si presenta, come continua lotta di tutte le forze naturali tra loro per conquistarsi la materia necessaria alla loro estrinsecazione; è la volontà di vita a generare infine, per questa sua lotta, il dolore, la miseria e la morte in tutti gli esseri conoscenti e senzienti.
E se si obietta che la perfezione degli organismi viventi necessariamente deve essere riferita a un Dio perfetto creatore, Schopenhauer risponde che l’idea finalistica della perfezione appartiene all’intelletto, ma la natura di per sé non possiede il concetto di fine, essa è l’oggettivazione della volontà cieca e irrazionale: sono gli uomini che cercano di dare un senso alla loro vita finalizzandola a un essere superiore che non può esistere. La conseguenza della assenza di finalità e dell’irrazionalità della volontà è l’insensatezza del mondo stesso e della vita di tutti gli esseri viventi in esso. È la volontà di vita – che in ogni cosa vuole realizzarsi nel suo grado, nella sua idea – a creare il mondo così come ci si presenta, come continua lotta di tutte le forze naturali tra loro per conquistarsi la materia necessaria alla loro estrinsecazione; è la volontà di vita a generare infine, per questa sua lotta, il dolore, la miseria e la morte in tutti gli esseri conoscenti e senzienti.
La sua opera principale. Il mondo come volontà e rappresentazione, che porta a termine all’inizio del 1818 e che fa pubblicare, per i tipi della casa editrice Brockhaus di Lipsia , sarà un totale fiasco economico, e buona parte di essa andrà al macero, nella prima edizione. In questa opera è presente il pensiero filosofico di Schopenhauer La volontà di vivere, infatti, produce dolore ma non per se stessa, per una sua connotazione maligna: il dolore infatti nasce quando la volontà di vivere si oggettiva nei corpi che volendo vivere esprimono una continua tensione, sempre insoddisfatta, verso quella vita che appare loro come sempre mancante di quanto essi vorrebbero. Quanto più si ha brama di vivere tanto più si soffre. Quanto più si accresce la propria vita arricchendola tanto più si soffre. Quindi, noi siamo volontà. Volontà che ci fa muovere, pensare e che si oggettiva nella realtà fenomenica come corpo.
L’aver compreso la coincidenza tra la cosa in sé e la volontà, per la connotazione che la volontà stessa ha, porta Schopenhauer a una visione della vita molto distante dal finalismo ma piuttosto la sua è una visione materialistica deterministica come risultava già dalla sua prima opera Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente.La volontà, essendo irrazionale e cieca, distrugge ogni visione del mondo come teleologicamente organizzato.
Ordine e armonia lasciano spazio a follia, pulsioni e irrazionalità dettate dalla volontà che è l’essenza, la cosa in sé di ognuno. La legge che regola il mondo è quella del più forte: la lotta per la sopravvivenza spinge a crudeltà ed egoismi che rafforzano in chi li pratica la volontà di vivere e che accrescono nello stesso tempo il loro dolore. Molto ampio e complesso il suo pensiero.
Qui ci si è limitati ad alcune riflessioni sulla religione.
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