Precedenti
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Richiami precedenti
Abbiamo già appreso che la filosofia moderna, l'idealismo, si diffonde in Russia ai primi dell'Ottocento e si innesta nella coscienza del paese grazie al peculiare profilo del paese innervato dalla cultura greca e da quella bizantina in particolare.
Grazie alle opere di Dionigi Aropagita e della Patristica greca era stato piantato nei secoli precedenti nella cultura russa il germoglio, la "affinità elettiva" per l'affermarsi nell'0ttocento dell'idealismo tedesco e della dialettica hegeliana, dei paradossi, della contraddittorietà e della totalità (=l'intero è vero; ogni fenomeno parziale sussiste nella verità solo se posto nella globalità).
L'unità non giace però al livello di superficie esteriore delle cose e dei fatti e la "dialettica" non è altro che la duplice stratificazione del mondo (=unità di reale e ideale).
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L'eredità della grecità antica e di quella bizantina nella cultura russa
Il pensiero russo contiene tutti i quattro aspetti ricordati la volta scorsa (premi qui) in riferimento alla dialettica.
Da dove originano ?
Da dove originano ?
Anche questa volta attingiamo e riportiamo il tagli dell'opera
Storia delle tradizioni filosofiche dell'Europa Orientale,
di Helmut Dahm - Asen Ignator.
a) L'antichità greca
Il pensiero filosofico europeo in senso lato sorge di fatto in Grecia con il problema dell’Uno
e dei Molti. I presocratici ricercano naturalisticamente il principio dell’unità
sullo stesso piano della molteplicità delle cose (acqua, aria ecc.). Solo con i
socratici e con l’introduzione della dottrina delle idee si arriva a un cambiamento
decisivo nell’impostazione della questione.
Se in Socrate, e nel primo Platone,
questa dottrina mantiene un carattere conoscitivo, dal Simposio in poi essa viene
«ontologizzata»: l’insieme delle idee viene cioè a costituire un mondo intellegibile
particolare, accessibile solo alle idee.
Per la problematica dell’Uno e dei Molti sorge
quindi una nuova prospettiva: la molteplicità delle singole cose del mondo visibile è
sempre legata all’unità attraverso la partecipazione a un’idea. Aristotele rintuzza che le singole cose siano in tal modo troppo distinte
dalle idee, il che porta a una duplicazione non necessaria del mondo. Trasferendo
infatti alle cose reali del mondo il principio delle idee in quanto «forma», il mondo delle idee cessa di essere un mondo integrale.
Applicando invece il principio delle
idee nelle cose, esso diventa, in quanto «entelechia», una norma che guida dall’interno lo
sviluppo stesso delle cose.
Un contrappunto materialistico alle entelechie di Aristotele è rappresentato dai logoi
spermatikoi degli stoici. Le ragioni seminali non sono più pensate come un
principio ideale nelle cose, bensì, materialisticamente, come una particella infuocata in cui si
suddivide il fuoco originario, che viene compreso come anima del mondo e designato,
riallacciandosi a Eraclito, anche come «Logos». Questo dualismo di Logos e logoi ritornerà
d’ora in poi in continuazione.
Con Filone d’Alessandria (ca. 25 a.C. - 50 d.C.), in cui il concetto di «Logos» acquista
nuovamente il significato di mondo ideale, il problema di Dio si sposta in primo piano.
Se in Platone Dio era dapprima presente come forma della somma idea del bene e poi
come demiurgo, e se in Aristotele Dio si faceva «primo motore» e per gli stoici era infine
l’anima del mondo strettamente legata al mondo empirico, l’ebreo Filone accentua
nettamente l’assoluta trascendenza divina.
Da qui la necessità di un mediatore tra Dio e
mondo. È questo un ruolo che compete al Logos, a cui appartiene una duplice essenza:
come logos endiathetos (cioè come parola pensata, «interiore») esso è il mondo delle idee in
Dio; come logos prophorikos (parola pronunciata) ne diviene invece pura espressione,
totalità delle idee realizzate nel mondo visibile e delle forze agenti (dynameis). Nella sua
trascendenza assoluta, Dio si nega alla comprensione umana.
Plotino (203-264) si basa su Filone. Impossibile da trattenere, l’unità in tensione del
Logos filosofico si scinde in Plotino in due ipostasi autonome, quella del Nous (ragione) e
quella della Psyché (anima). L’enigmaticità complessiva e ideale che avvolge il mondo visibile
appare ora come «unitrinità», coesistenza cioè dell’Uno (Hen), che supera ogni comprensione
umana al pari del Dio di Filone, del Nous, derivante da esso per emanazione, e
della Psyché, emanata dal Nous in una fase successiva.
All’estremo inferiore dell’emanazione
troviamo la materia: essa è negazione (Mè on) e, come già per Filone, principio del
male.
A questo cammino verso il basso segue un percorso di riascesa all’Uno di tutto ciò
che è «divenuto», con un cammino mediato dalla contemplazione filosofica e dalla
purificazione morale dell’anima individuale.
La dinamica di questo duplice movimento di
discesa e di nuova ascesa influirà marcatamente sulla teologia patristica,
fecondando la dottrina ascetica paleocristiana e trovando eco anche nella trattazione
teologica della storia sacra. Un discorso simile vale per la trascendenza del principio
primo, che viene posta in evidenza ancora più decisamente che non in Filone e alla quale
non può applicarsi nessun concetto originato dal mondo empirico, per quanto sublimato
esso possa essere. Con quest’idea del Dio inconoscibile (Theos agnostos) che permea le
religioni orientali il neoplatonismo riuscì a dare un impulso nuovo al platonismo. In
ambito cristiano, tale idea condusse poi alla costruzione della «teologia negativa»,
soprattutto attraverso Dionigi lo Pseudoareopagita,
Occorre tuttavia ricordare ancora un elemento particolare della filosofia di Plotino,
giacché esso non ritorna soltanto nella dottrina patristica del Logos ma avrà un ruolo
centrale soprattutto nel pensiero religioso russo: in quanto idea delle idee, al Nous di
Plotino appartiene una struttura interna unitotale.
La bellezza del mondo intellegibile del
Nous viene descritta dal filosofo con parole estatiche nell’VII Trattato della V Enneade:
«Ogni essenza racchiude in sé tutto il mondo e lo riflette in ogni altra essenza, così che
tutto è ovunque, ogni singola essenza è tutto e la magnificenza non ha confine».
Il pensiero neoplatonico è stato trasmesso sia alla filosofia medievale dell’Occidente sia
a quella d’Oriente principalmente nella forma sviluppata da Proclo (410-485).
Proclo si preoccupò soprattutto di superare la distanza che separava le singole ipostasi e di rendere
comprensibile la derivazione dell’ente inferiore da quello superiore. Da tale sforzo derivò
una pluralità di triadi. A tutti i livelli, l’Essere appare dapprima come un’unità riposante in
se stessa (moné), poi, in un secondo momento, il «progresso» (proodos) fuoriesce da sé per
ritornare a sé in un terzo momento, il «ritorno» (epistrophé). Oltre che la pluralità delle triadi,
ciò che distingue Proclo da Plotino è che il ritorno viene concepito come terzo
momento della triade – elemento, questo, che ricorda fortemente Hegel, che si espresse
sempre verso Proclo con molta reverenza. Detto questo, tra la dialettica hegeliana e
quella di Proclo si può comunque rilevare una differenza sostanziale, in quanto nella
prima è palese un movimento ascendente.
Questo breve scorcio della filosofia greca mostra come la problematica iniziale
dell’Uno e dei Molti abbia condotto in definitiva all’assunto di una realtà ideale che regge
il nostro mondo visibile e che nei suoi più profondi strati trascende le capacità del
pensiero concettuale umano.
Riguardo al nostro tema, non è insignificante il fatto che questo tratto essenziale della paradossalità, non sia di origine greca: il neoplatonismo lo riprende infatti dal pensiero orientale, benché successivamente tale tratto diventi un elemento stabile del pensiero greco.
Riguardo al nostro tema, non è insignificante il fatto che questo tratto essenziale della paradossalità, non sia di origine greca: il neoplatonismo lo riprende infatti dal pensiero orientale, benché successivamente tale tratto diventi un elemento stabile del pensiero greco.
b) Il primo Cristianesimo
In questo ambiente spirituale subentra ora il cristianesimo. Per quanto concerne i
problemi che stiamo affrontando, il suo contributo appare duplice. Innanzitutto, con la
sua dottrina della creazione del mondo dal nulla, esso introdusse una netta distinzione tra
Dio e il mondo. Inoltre, in virtù della sua radice veterotestamentale, risvegliò con la
dottrina della storia della redenzione il senso per la storicità in genere, cosa di cui il
pensiero greco difettava.
Rispetto alla distinzione tra Dio e mondo, tuttavia, venne a risultare meno chiara in
primo luogo la posizione del Logos come figlio di Dio e in rapporto a Dio Padre e al
mondo. Nell’ardito prologo che Giovanni fa precedere al suo Vangelo, egli designa il
Figlio di Dio con il nome di Logos: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio,
e il Verbo era Dio. [...] Tutto è stato fatto per mezzo di lui...».
È chiaro che nell’ambiente
spirituale che abbiamo già delineato questo dovette risvegliare il pensiero di una sorta di
mondo delle idee come base ideale del creato visibile e conferire ai misteri sacri cristiani,
soprattutto a quello dell’incarnazione e a quello della redenzione, una marcata dimensione
cosmologica. In effetti, già nei più antichi Padri della Chiesa, da Giustino a Clemente
Alessandrino, troviamo un’eco della dottrina filosofica del logos endiathetos e del logos
prophorikos. Il Logos, che dall’eternità era recondito in Dio, nella creazione del mondo
viene generato come primogenito del creato e deriva dal Padre. In questa «teoria dei due
stadi» si celava in ogni caso il pericolo di una subordinazione del Figlio al Padre. Per
scongiurare tale pericolo e per evitare altresì un intreccio troppo stretto tra la generazione
del Figlio e la creazione del mondo, prese ad affermarsi, già a partire da Ireneo (†202), la
teoria di un unico stadio di generazione del Figlio, secondo cui il Figlio viene generato dal
Padre già dall’eternità. Anche la stessa idea dei logoi spermatikoi trovò un riflesso nel
pensiero cristiano: secondo Giustino, per esempio, il Logos si rivelò in modo completo in
Cristo, mentre in tutti gli altri uomini è presente invece solo un seme del Logos che ha
sede nel loro intelletto.
Tutti questi elementi, riuniti in sintesi, ritornano in Origene (†254), contemporaneo di Plotino. Dio Padre appare nuovamente come unità assoluta che supera ogni capacità concettuale umana, produce per la creazione del mondo un principio divino, il Figlio, che nella sua unità è anche molteplicità, in modo da poter svolgere il suo ruolo di mediatore tra Dio e il mondo. Egli non è solo sede delle idee al di sopra delle cose del mondo, similmente al logos endiathetos filosofico, ma anche centro di tutte quelle forze ed energie creative che risultano attive nelle cose stesse (logos prophorikos).
In Origene, oltre alla dottrina del Logos, troviamo, soprattutto nel suo periodo giovanile a cui appartiene lo scritto Perì archòn (De principiis), anche un’altra interpretazione della concezione del mondo intellegibile, in cui quest’ultimo appare chiaramente collocato in una dimensione creaturale ed equipollente al mondo degli angeli. Lo stretto legame tra la generazione del Logos e la creazione del mondo e il suo carattere di mondo delle idee fanno scaturire nel IV secolo la crisi dell’arianesimo, risolta poi dal concilio di Nicea del 325 con la dottrina del Figlio consustanziale (homousios) al Padre, che porta a un valido chiarimento su come si ponga il Figlio in rapporto al Padre preservando la natura divina del Logos.
Si potrebbe credere che questo privasse di fondamento ogni speculazione sul Logos come mondo intellegibile. In realtà, la vitalità di tale insegnamento si rivelò così forte che, dopo un periodo di silenzio, si fece nuovamente sentire, annunciandosi già con Dionigi lo Pseudoareopagita (intorno al 500) e costituendosi con San Massimo il Confessore (580-662) in una modalità che preservava la trascendenza del Logos. Massimo, infatti, interpretò il Logos unico come una molteplicità di logoi, idee e immagini primordiali secondo le quali vengono create le cose del mondo visibile: se queste ultime si comportano nella loro esistenza in conformità alle immagini originarie, esse giungono a partecipare del Logos e attraverso il Logos diventano partecipi di Dio stesso.
Come abbiamo inoltre visto poco sopra, la filosofia greca precristiana trovò nel riconoscimento di un mondo delle idee la base per la soluzione del problema dell’Uno e dei Molti. Similmente, anche nei Padri della Chiesa il Logos si fa mediatore della sintesi di unità e molteplicità. In tal senso, già Clemente Alessandrino (†215) applica al Logos il concetto di Tutto-uno (Panta hen), mentre per Origene il Logos, similmente al Nous di Plotino, appare come un principio mediatore tra l’assoluta unità del Padre e la molteplicità del mondo, un principio che nella sua unità è ugualmente contraddistinto dalla molteplicità. Tale appare il Logos anche in Massimo il Confessore. Accanto a questa sintesi di unità e molteplicità, data nella struttura interna del Logos, nei Padri della Chiesa si può trovare molto spesso anche una seconda modalità di pensiero che richiama di nuovo fortemente Plotino, ossia un movimento dialettico nella storia sacra dall’unità alla molteplicità e dalla molteplicità all’unità, simile alla discesa plotiniana dall’Uno (Hen) e alla nuova ascesa ad esso.
Alcuni Padri concepirono la natura umana come una specie di «universale concretum», come una concreta unità dell’intero genere umano, che si corrompe nella caduta di Adamo e viene ristabilita con il regno di Cristo. La visione di una concreta unità di questo tipo si rivela nell’utilizzo di espressioni peculiari per designare l’umanità: «anthropine physis» – la natura umana, «ton anthropon hapasa physis» – l’intera natura umana, «tes physeos pleroma» – la pienezza della natura, «holon to physeos» – la totalità della natura, «pan to anthropinon phylon» – l’intero genere umano eccetera.
Gregorio di Nissa chiama la storia dell’umanità «ho anthropinos bios» – la vita umana. Corrispondentemente, la caduta viene vista come frantumazione e perdita dell’unità: «Satana ci ha dispersi» (Cirillo d’Alessandria). «La natura esistente come unità viene scissa in innumerevoli parti» (Massimo il Confessore).
L’opera di redenzione del Cristo consiste quindi in una nuova produzione dell’unità perduta: attraverso la colpa «Adamo fu disperso su tutta la terra […], ma la misericordia divina raccolse comunque i cocci da ogni luogo, li fuse nel fuoco dell’amore e fece nuovamente essere uno ciò che era stato frantumato» (Agostino).
Tale unità riconquistata abbraccia spesso nei Padri una dimensione cosmica: Andrea di Creta definisce la redenzione «pankosmou soteria»: la salvezza dell’intero cosmo.
Giovanni Damasceno introduce altresì il concetto di microcosmo: poiché l’uomo rappresenta un microcosmo che riunisce in sé sia il mondo visibile sia quello invisibile, Dio riesce, attraverso l’incarnazione del Figlio che gli è consustanziale, a far collimare la divinità con l’umanità e a riconnettere attraverso quest’ultima l’intero creato all’unità, essendo Dio ogni cosa in ogni cosa.
c) Apporto di Dionigi Areopagita
Ciò che qui appare come un’unica triplice gradualità, che si compie nel duplice movimento della discesa e della nuova ascesa all’unità, diviene poi, con Dionigi lo Pseudoareopagita e sotto l’influsso di Proclo, una catena di triadi, sia della discesa sia della nuova ascesa.
Attraverso tre triadi della gerarchia celeste e tre triadi della gerarchia terrestre, che presenta il carattere di una stratificazione ontologica, tutto deriva da Dio, essere perfetto e traboccante, e a Lui ritorna nuovamente attraverso la stessa gradualità. Su tale dottrina «neoplatonizzante» di Dio come Uno primigenio, perfezione assoluta che trascende ogni concezione umana, Dionigi fonda la sua teologia «apofatica» (ossia negativa).
Le affermazioni positive su Dio devono essere costantemente corrette dalla negazione, essendo Dio la perfezione assoluta. Oltre alla paradossalità, abbiamo dunque colto tre ulteriori caratteristiche del pensiero russo: la visione di un costante legame del tutto con il tutto, la visione di una duplice stratificazione del mondo e infine la visione della dinamica e della processualità come fondamento della filosofia della storia.
Si pone ora la domanda se anche questi tre elementi caratteristici possano essere considerati come una comune eredità greca, tanto per il pensiero russo quanto per l’idealismo tedesco. Per quanto riguarda le prime due caratteristiche, sulla base dell’analisi testé svolta, sembra giustificarsi una risposta affermativa.
Le cose non appaiono tuttavia così semplici per quanto concerne la processualità e la filosofia della storia. In questo caso infatti c’è bisogno di distinguere innanzitutto tra dinamica e storia, in quanto non ogni tipo di dinamismo significa necessariamente storicità. Già il pensiero di Eraclito era contraddistinto da una certa dinamica, che non può negarsi neppure in Plotino e Proclo.
Nel pensiero greco, tuttavia, una filosofia della storia vera e propria si può trovare solo a livello di spunto, laddove un principio veramente essenziale pare invece reperibile nella teologia dialettica della storia tipica della patristica, con il suo movimento dall’unità alla molteplicità e da quest’ultima a una nuova unità arricchita dall’incarnazione del Figlio di Dio. Questo movimento ha ispirato nella filosofia russa una serie di costruzioni dialettiche della storia.
Tutti questi elementi, riuniti in sintesi, ritornano in Origene (†254), contemporaneo di Plotino. Dio Padre appare nuovamente come unità assoluta che supera ogni capacità concettuale umana, produce per la creazione del mondo un principio divino, il Figlio, che nella sua unità è anche molteplicità, in modo da poter svolgere il suo ruolo di mediatore tra Dio e il mondo. Egli non è solo sede delle idee al di sopra delle cose del mondo, similmente al logos endiathetos filosofico, ma anche centro di tutte quelle forze ed energie creative che risultano attive nelle cose stesse (logos prophorikos).
In Origene, oltre alla dottrina del Logos, troviamo, soprattutto nel suo periodo giovanile a cui appartiene lo scritto Perì archòn (De principiis), anche un’altra interpretazione della concezione del mondo intellegibile, in cui quest’ultimo appare chiaramente collocato in una dimensione creaturale ed equipollente al mondo degli angeli. Lo stretto legame tra la generazione del Logos e la creazione del mondo e il suo carattere di mondo delle idee fanno scaturire nel IV secolo la crisi dell’arianesimo, risolta poi dal concilio di Nicea del 325 con la dottrina del Figlio consustanziale (homousios) al Padre, che porta a un valido chiarimento su come si ponga il Figlio in rapporto al Padre preservando la natura divina del Logos.
Si potrebbe credere che questo privasse di fondamento ogni speculazione sul Logos come mondo intellegibile. In realtà, la vitalità di tale insegnamento si rivelò così forte che, dopo un periodo di silenzio, si fece nuovamente sentire, annunciandosi già con Dionigi lo Pseudoareopagita (intorno al 500) e costituendosi con San Massimo il Confessore (580-662) in una modalità che preservava la trascendenza del Logos. Massimo, infatti, interpretò il Logos unico come una molteplicità di logoi, idee e immagini primordiali secondo le quali vengono create le cose del mondo visibile: se queste ultime si comportano nella loro esistenza in conformità alle immagini originarie, esse giungono a partecipare del Logos e attraverso il Logos diventano partecipi di Dio stesso.
Come abbiamo inoltre visto poco sopra, la filosofia greca precristiana trovò nel riconoscimento di un mondo delle idee la base per la soluzione del problema dell’Uno e dei Molti. Similmente, anche nei Padri della Chiesa il Logos si fa mediatore della sintesi di unità e molteplicità. In tal senso, già Clemente Alessandrino (†215) applica al Logos il concetto di Tutto-uno (Panta hen), mentre per Origene il Logos, similmente al Nous di Plotino, appare come un principio mediatore tra l’assoluta unità del Padre e la molteplicità del mondo, un principio che nella sua unità è ugualmente contraddistinto dalla molteplicità. Tale appare il Logos anche in Massimo il Confessore. Accanto a questa sintesi di unità e molteplicità, data nella struttura interna del Logos, nei Padri della Chiesa si può trovare molto spesso anche una seconda modalità di pensiero che richiama di nuovo fortemente Plotino, ossia un movimento dialettico nella storia sacra dall’unità alla molteplicità e dalla molteplicità all’unità, simile alla discesa plotiniana dall’Uno (Hen) e alla nuova ascesa ad esso.
Alcuni Padri concepirono la natura umana come una specie di «universale concretum», come una concreta unità dell’intero genere umano, che si corrompe nella caduta di Adamo e viene ristabilita con il regno di Cristo. La visione di una concreta unità di questo tipo si rivela nell’utilizzo di espressioni peculiari per designare l’umanità: «anthropine physis» – la natura umana, «ton anthropon hapasa physis» – l’intera natura umana, «tes physeos pleroma» – la pienezza della natura, «holon to physeos» – la totalità della natura, «pan to anthropinon phylon» – l’intero genere umano eccetera.
Gregorio di Nissa chiama la storia dell’umanità «ho anthropinos bios» – la vita umana. Corrispondentemente, la caduta viene vista come frantumazione e perdita dell’unità: «Satana ci ha dispersi» (Cirillo d’Alessandria). «La natura esistente come unità viene scissa in innumerevoli parti» (Massimo il Confessore).
L’opera di redenzione del Cristo consiste quindi in una nuova produzione dell’unità perduta: attraverso la colpa «Adamo fu disperso su tutta la terra […], ma la misericordia divina raccolse comunque i cocci da ogni luogo, li fuse nel fuoco dell’amore e fece nuovamente essere uno ciò che era stato frantumato» (Agostino).
Tale unità riconquistata abbraccia spesso nei Padri una dimensione cosmica: Andrea di Creta definisce la redenzione «pankosmou soteria»: la salvezza dell’intero cosmo.
Giovanni Damasceno introduce altresì il concetto di microcosmo: poiché l’uomo rappresenta un microcosmo che riunisce in sé sia il mondo visibile sia quello invisibile, Dio riesce, attraverso l’incarnazione del Figlio che gli è consustanziale, a far collimare la divinità con l’umanità e a riconnettere attraverso quest’ultima l’intero creato all’unità, essendo Dio ogni cosa in ogni cosa.
c) Apporto di Dionigi Areopagita
Ciò che qui appare come un’unica triplice gradualità, che si compie nel duplice movimento della discesa e della nuova ascesa all’unità, diviene poi, con Dionigi lo Pseudoareopagita e sotto l’influsso di Proclo, una catena di triadi, sia della discesa sia della nuova ascesa.
Attraverso tre triadi della gerarchia celeste e tre triadi della gerarchia terrestre, che presenta il carattere di una stratificazione ontologica, tutto deriva da Dio, essere perfetto e traboccante, e a Lui ritorna nuovamente attraverso la stessa gradualità. Su tale dottrina «neoplatonizzante» di Dio come Uno primigenio, perfezione assoluta che trascende ogni concezione umana, Dionigi fonda la sua teologia «apofatica» (ossia negativa).
Le affermazioni positive su Dio devono essere costantemente corrette dalla negazione, essendo Dio la perfezione assoluta. Oltre alla paradossalità, abbiamo dunque colto tre ulteriori caratteristiche del pensiero russo: la visione di un costante legame del tutto con il tutto, la visione di una duplice stratificazione del mondo e infine la visione della dinamica e della processualità come fondamento della filosofia della storia.
Si pone ora la domanda se anche questi tre elementi caratteristici possano essere considerati come una comune eredità greca, tanto per il pensiero russo quanto per l’idealismo tedesco. Per quanto riguarda le prime due caratteristiche, sulla base dell’analisi testé svolta, sembra giustificarsi una risposta affermativa.
Le cose non appaiono tuttavia così semplici per quanto concerne la processualità e la filosofia della storia. In questo caso infatti c’è bisogno di distinguere innanzitutto tra dinamica e storia, in quanto non ogni tipo di dinamismo significa necessariamente storicità. Già il pensiero di Eraclito era contraddistinto da una certa dinamica, che non può negarsi neppure in Plotino e Proclo.
Nel pensiero greco, tuttavia, una filosofia della storia vera e propria si può trovare solo a livello di spunto, laddove un principio veramente essenziale pare invece reperibile nella teologia dialettica della storia tipica della patristica, con il suo movimento dall’unità alla molteplicità e da quest’ultima a una nuova unità arricchita dall’incarnazione del Figlio di Dio. Questo movimento ha ispirato nella filosofia russa una serie di costruzioni dialettiche della storia.
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