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giovedì 5 dicembre 2019

500 anni e li dimostra. Quando la politica siciliana dipendeva dai baroni e sorse Kuntissa (5)

Il lungo cammino della democrazia
(per conseguire la dignità umana).

Rispetto al Settentrione della penisola, dove risultavano saldamente impiantate all'interno dei "comuni" la cultura e la vita sociale su basi politico-istituzionale e la struttura economico-produttiva su basi mercantile-manufatturiero e dove già gli Stati regionali buttavano sia pure lentamente le basi di modernizzazione del vivere umano, gli arbëreshe che giunsero nei territori dei Peralta-Cardona vennero di contro ad imbattersi con un regime di vita prettamente e saldamente feudale. 

L'Impero Romano d'Oriente, contrariamente alle vie percorse dall'Occidente non ebbe mai a conoscere l'economia feudale.  L'economia dell'Impero Bizantino ebbe a dare -sin dall'immediatezza delle invasioni barbariche in Occidente- un'immagine di permanente ricchezza e lusso, alimentata dalla ripresa economica e sociale che, sia pure in forma sempre più precaria e tenue, proseguì fino al 1204, quando a dare i primi scossoni alla stabilità dell'Impero non furono tanto gli arabo-islamici ma i crociati inviati dai papi.

Non dovette essere facile per le comunità arbëreshe arrivate nella Sicilia aragonese, che comunque avevano già conosciuto le scorrerie turche nella terra di origine, immergersi nella logica di vita feudale e in un contesto di vita molto più gerarchizzato rispetto alla terra di origine.

IL POTERE FEUDALE DEI CARDONA,
DEI GIOENI, DEI COLONNA, Signori della Terra di Kuntissa

Secondo l'assetto istituzionale delle realtà feudali locale l'amministrazione doveva essere retta -tanto nelle città demaniali quanto nelle terre baronali- già a partire dalla fine dell’età sveva dai "giurati" che sarebbero risultano eletti de communi voto. Così era stato sancito sotto Carlo I in un documento del 1277:-

Di fatto la disposizione (mai attuata) venne revocata nel 1286 da Giacomo II, che ne proibì -in via di fatto- l’elezione non solo nelle comunità demaniali e baronali ma anche nelle terre ecclesiastiche (dipendenti dalle Abazie), sino a quando nel 1324 Federico III non emanò i capitula iuratorum, indirizzati a tutte le città del Regno, provvedendo a una sostanziale ristrutturazione dell’ufficio rispetto al passato.

Federico III rispetto alla giustizia civile nelle città e nelle terre demaniali stabilì che l’elezione dei giudici, che dovevano essere giusperiti, spettasse alle popolazioni locali secondo le stesse modalità fissate per quella dei giurati (=gli amministratori locali) e prescrisse che non ci fosse ingerenza baronale.
Nel capitolo LVII del 1296 Federico stabilì che «barones et milites nullo modo se intromictere debeant de electione iudicum et aliorum officialium, eligendorum per universitas terrarum et locorum anno quolibet».

Sembrerebbe di capire che vigesse la democrazia dal basso. Sembrerebbe che Federico a livello locale, non tollerasse più come nel passato, funzionari di nomina regia, ma esclusivamente ufficiali elettivi.
Egli definì l'assetto della Curia dei giurati (una specie di Giunta Municipale) la cui presenza a partire dal secondo decennio del Trecento divenne regolare ed operante, in ogni comunità, in Sicilia. 
Di fatto sia nelle città demaniali quanto nelle terre baronali già a partire dalla fine dell’età sveva, i giurati risultarono eletti de communi voto.

La realtà sociale quale era però ?
A votare, a pronunciarsi sulla conduzione delle realtà locali, erano (dovevano essere) solamente i proprietari di fondi terrieri che risiedessero in qualsiasi parte del Regno. Solamente i feudatari. Non esisteva infatti la piccola proprietà.

Non sembri strana questa circostanza.
In Italia il diritto di voto cominciò ad estendersi a cominciare dal 1861 riservandolo  ai soli cittadini maschi di età superiore ai 25 anni e di elevata condizione sociale (o possidenti o professionisti).. 
Nel 1881 il Parlamento estese il diritto di voto anche alle fasce artigiane che avessero raggiunto i 21 anni di età.
Nel 1912, su proposta di Giovanni Giolitti che per continuare a governare aveva bisogno del sostegno esterno dei socialisti, il Parlamento approvò l'estensione del diritto di voto a tutti i cittadini maschi a partire dai 21 anni di età che avessero però superato con buon esito l'esame di scuola elementare e tutti i cittadini di età superiore ai trenta anni indipendentemente dal loro grado di istruzione. 
Il suffragio universale maschile vero e proprio è stato introdotto con la legge n. 1985/1918, che ha ammesso al voto tutti cittadini maschi di età superiore ai ventuno anni, nonché i cittadini di età superiore ai diciotto anni che avessero prestato il servizio militare durante la prima guerra mondiale.
Per avere un'idea: 
alle elezioni amministrative locali di Contessa Entellina del 1911 parteciparono appena 80 elettori su poco più di 100 iscritti. Più di cinquanta di quegli elettori non erano residenti a Contessa, ma possedevano vaste proprietà agrarie sul territorio.
Quelle stesse persone avevano diritto di voto oltre che a Contessa Entellina anche in qualsiasi altro comune in cui possedevano proprietà agrarie.
I lettori del Blog sanno sicuramente che il voto alle donne è stato esteso solamente in periodo repubblicano, nel 1948.

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