Il 4 dicembre 1975 muore la filosofa e storica tedesca Hannah Arendt.
L'uomo artificiale
La filosofa aveva scritto: «L’uomo del futuro (…) sembra posseduto da
una rivolta contro l’esistenza umana così come essa ci è stata data, (…) vuole
scambiarla con qualcosa che ha prodotto lui stesso».
Per la Arendt, non c’è
alcuna ragione di dubitare della capacità di fare gli uomini artificiali che lavorino per conto nostro.
«La questione è solo se
vogliamo o no usare le nostre nuove conoscenze scientifiche e tecniche in
questa direzione, e ciò non può essere deciso con gli strumenti della scienza;
è un problema politico di prim’ordine».
«Di conseguenza», continua l’autrice di La condizione umana, «non può essere lasciato alle decisioni di
professionisti della scienza o della politica».
La filosofa, storica e giornalista Hannah Arendt, negli anni cinquanta rappresentava che
--il “Lavoro” genera necessità metaboliche – gli input, come il cibo – che sostengono la vita umana.
--L’ “Opera” crea artefatti fisici e infrastrutture che definiscono il nostro mondo e spesso ci sopravvivono, dalle case e dai beni alle opere d’arte.
--L’ “Azione” comprende attività interattive e comunicative tra gli esseri umani: la sfera pubblica.
Nell’azione, affermiamo la nostra distintività come esseri umani e cerchiamo l’immortalità.
«Il fatto che l’uomo sia capace d’azione» scrive la Arnedt «significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile solo perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità».
Il timore della Arnedt era che la nostra unicità, nel momento in cui le macchine avranno liberato l’uomo da compiti sempre più numerosi (dal lavoro), a cosa rivolgeremo le nostre attenzioni di uomini ?
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