Quando sul finire del quattrocento sui feudi dei Cardona cominciano ad essere costruite da parte di popolazioni provenienti dall'Epiro le prime case che poi, nel 1520, avrebbero costituito un paese -una Università- tutt'attono, nei territori del Belice, esistevano piccoli aggregati, fattorie agricole e costruzioni rustiche, nulla di significativo sul piano demografico stante che da oltre duecento anni la popolazione (costituita da musulmani) era stata trucidata o deportata).
Nessun paese esisteva sul versante del Belice; non esisteva Menfi, Santa Margherita, Salaparuta, Poggioreale, nè Roccamena e Campofiorito nel corleonese.
Vastedda del Belice |
Una cosa è tuttavia ovvia; se non esistevano i traffici e gli scambi commerciali da un centro abitato all'altro è naturale immaginare che l'alimentazione non poteva che essere quella che la madre terra offriva, seppure preparata con modalità tipiche dell'Epiro.
Fino al Settecento il livello socio-economico dei contessioti è più o meno uniforme. Tutte le famiglie possiedono in enfiteusi un pezzetto di terreno a Serradamo o a Contesse. Dal Settecento in poi le famiglie più forti economicamente, quelle dei civili e dei burgisi, ottengono dai baroni ulteriori porzioni di terreni in enfiteusi in contrada Bagnitelle e nel contempo cominciano ad arrivare in paese famiglie dai paesi vicini: c'è infatti da valorizzare i vasti feudi del territorio ed i baroni necessitano di sempre maggiori proventi per condurre la vita aristocratica a Palermo dove costruiscono fastosi palazzi.
I Colonna peraltro risultano essere fra le famiglie aristocratiche più indebitate dell'isola e la conduzione dell'Università di Contessa e dei loro feudi fu ceduta in gabella dalla "Regia Curia" a famiglie rampanti della nobiltà più recente. Le gabelle finivano comunque nelle casse dei Colonna.
I Colonna peraltro risultano essere fra le famiglie aristocratiche più indebitate dell'isola e la conduzione dell'Università di Contessa e dei loro feudi fu ceduta in gabella dalla "Regia Curia" a famiglie rampanti della nobiltà più recente. Le gabelle finivano comunque nelle casse dei Colonna.
Dal Settecento è quindi verosimile che l'alimentazione degli arberesh inizia ad uniformarsi a quella corrente nella Sicilia occidentale. Sia pure lentamente e con diffidenza Contessa cominciava ad aprirsi al mondo circostante.
Attingeremo a ricette della cucina popolare del primo Novecento ricorrenti a Contessa, ma è verosimile che esse abbiano ricalcato analoghe ricette dei secoli precedenti.
Avevamo avvisato il lettore: la cucina, i sapori e gli odori sono cultura, trasmettono storia, tradizione e civiltà.
Ciò che si mangia, ciò che si ascolta, esprimono l'identità di un popolo. Qui da noi, in questo lembo di terra siciliana, ci ha detto parecchi anni fà un anziano contadino la gastronomia popolare era costituita da "pane e saliva". Cinquarant'anni fà, prima del terremoto del '68, questo amico -già anziano allora- ci fece conoscere che il cibo base dei "senza terra" era costituito da pane, broccoli bolliti (cavoli) e uova fritte quando c'erano.
Ciò che si mangia, ciò che si ascolta, esprimono l'identità di un popolo. Qui da noi, in questo lembo di terra siciliana, ci ha detto parecchi anni fà un anziano contadino la gastronomia popolare era costituita da "pane e saliva". Cinquarant'anni fà, prima del terremoto del '68, questo amico -già anziano allora- ci fece conoscere che il cibo base dei "senza terra" era costituito da pane, broccoli bolliti (cavoli) e uova fritte quando c'erano.
I matrimoni fino agli anni cinquanta del Novecento si festeggiavano con un bicchiere di liquore (fatto in casa), un biscotto pure esso fatto in casa, ed un pugno di ceci. Nelle case localmente benestanti veniva offerto pure un tarallo.
Le case dei più fortunati, i burgisi, per le grandi feste disponevano di un agnello (o un ciaraveddu) più nutricatu.
La zabbina si mangiava in campagna dai pastori la mattina presto. Zuppa di ricotta e siero che dava, allora, profumi e sapori indimenticabili.
Avevamo promesso che con questo post avremmo fornito le prime ricette.
Essendo questo corrente il periodo della raccolta delle olive, proponiamo:
1) Olive con aglio e prezzemolo (per 4 persone)
-gr. 200 di olive verdi 1 mazzetto di prezemolo
-4 spicchi d'aglio Olio d'oliva locale (di Bagnitelle, Contesse o Serradamo)
Sciacquare le olive e lasciarle a bagno in acqua cper 24 ore; sgocciolarle e schiacciarle con il pestello del mortaio, senza frantumare il nocciolo.
Trasferire le olive in una terrina e aggiungere un trito d'aglio e prezzemolo e abbondante olio extra vergine locale.
Mescolare e poi lasciare insaporire per qualche ora.
2) Olive verdi condite
-gr. 200 di olive verdi 3 rametti di sedano con le foglie
-1 mazzetto di prezzemolo 4 spicchi d'aglio
-Un pochettino di origano (raccolto nella
zona San Calogero-Muricchio) Olio d'oliva locale (come sopra)
-un poco di pepe
Sciacquare le olive e lasciale a bagno in acqua corrente per due giorni (cambiando l'acqua ogni 24 ore); sgocciolare bene e schiacciarle col pestello del mortaio, evitando di frantumare il nocciolo.
Trasferire le olive in una terrina e aggiungere l'aglio a fettine, il sedano a rondelle, il prezzemolo tritato e una presa di origano.
Cospargere con una spolverata di pepe e irrorare con abbondante olio extravergine di Contesse-Vaccarizzotto.
Mescolare e lasciare insaporire le olive per 12 ore prima di servire.
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