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martedì 28 ottobre 2014

28 Ottobre 1922. Le "camice nere" marciano su Roma

Il referente originario del fascismo è il ceto medio, ampio ma disorganico, incapace di dare uno sbocco al risentimento alla frustrazione profonda con i quali vive i difficili anni seguiti alla fine della I° guerra mondiale.
Oltretutto, questo strato sociale è percorso da un fremito d'ansia, di fronte alla sorprendente capacità di mobilitazione dimostrata, al contrario, dalle organizzazioni contadine e operaie.
Ma se far proselitismo fra la piccola e media borghesia degli impiegati, dei commercianti e dei militari, può servire a lanciare il movimento fascista, per la sua definitiva affermazione emerge la necessità  di rendersi accettabile anche alle classi che detengono le leve dell'economia italiana, come i latifondisti e gli industriali, insoddisfatti dalla classe dirigente liberale tradizionale.
Pertanto, la tattica adottata da Mussolini è quella di alternare abilmente plateali sostegni alle rivendicazioni degli ex militari, violenze ai danni di socialisti e cattolici popolari e collaborazioni con il blocco giolittiano, bramoso di stringere nuove alleanze.
Dopo una campagna elettorale di inaudita violenza, con oltre cento morti per attentati e azioni squadristiche, nelle elezioni del 1921 i fascisti ottengono  35 seggi nelle liste governative e sanciscono la rispettabilità del loro movimento.
Il Partito fascista, distrutta ogni opposizione popolare organizzata e ottenuto il consenso di tutte le componenti borghesi (l'ultim da parte dei monarchici, rassicurati dal pubblico rigetto di Mussolini delle originarie posizioni repubblicane), appare ormai maturo per il grande salto. Il 31 luglio del 1922, partiti e sindacati chiamano la popolazione ad uno sciopero generale per sollecitare gli organi dello Stato  a ristabilire "l'imperio della legge" fermando le violenze degli squadristi.
Per tutta risposta, il Consiglio Nazionale del Partito fascista decide di organizzare una imponente manifestazione che faccia confluire nella capitale squadre di militanti da tutta Italia per favorire lo sblocco della situazione di incertezza e confusione in cui versa il quadro politico e sociale nazionale.
L'azione ha inizio il 26 ottobre: 25.000 fascisti (alla fine saranno 40.000), alla guida di un quadrunvirato composto da Bianchi, Balbo, De Bono e De Vecchi, muovono verso Roma occupando stazioni ferroviarie e prefetture, mentre Mussolini, da Milano, negozia con il re e il primo ministro Facta l'eventualità di una sua entrata nel governo. Le autorità civili e militari locali non oppongono resistenza all'avanzata dei manipoli di camice nere: il 28 ottobre, al loro approssimarsi alla capitale, Facta presenta le  dimissioni, proponendo a Vittorio Emanuele III, come ultimo atto di governo, la proclamazione dello stato d'assedio. Il re oppone un rifiuto, offrendo anzi al futuro duce l'incarico di formare un nuovo governo.
Il 30 ottobre, ottenuta udienza, Mussolini gli si presenta come "servitore della patria".

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