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mercoledì 25 dicembre 2024

Natale: la lettura dell’icona bizantina

  Buon Natale

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Molti anni fa, lavoravo a Palermo e seppi che nel Monastero di San Martino delle Scale si sarebbe svolto un corso di Iconografia a cura di un iconografo-sacerdote autorevole della Chiesa di Cipro. A conclusione del corso avevo già realizzato, sotto la guida del maestro, una icona che conservo ancora oggi con molta cura. L’anno successivo con lo stesso maestro si svolse un ulteriore corso e vi partecipai ancora, scrivendo (così si dice) una ulteriore icona. Avendo ritrovato gli appunti dei vari passaggi scritturistici allora riportati su un quaderno, mi e’ venuta l’idea di pubblicare in occasione delle festività natalizie l’interpretazione dell’icona standard della Natività nelle realtà comunitarie di tradizione bizantina.

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Il Natale è una delle solennità più importanti delle Chiese cristiane. L’Icona della Natività di Cristo, per i credenti, rivela l’essenza stessa della festa, ossia l’incarnazione reale di Dio. Essa offre la testimonianza visibile del “dogma” fondamentale della fede cristiana, sottolineando la divinità e l’umanità del Verbo incarnato. I riferimenti letterari si possono trovare nei testi evangelici ((San Luca) e l’esigua documentazione biblica e’ supportata dai testi apocrifi, dalla poesia liturgica bizantina e dalle omelie dei santi padri.

L’icona della festa mostra al centro la Vergine, inginocchiata (postura che in quest’icona risente dell’influsso occidentale), e il Bambino in fasce, sdraiato nella mangiatoia sul fondo tenebroso della grotta nella quale è nato e che si apre al centro di una montagna a forma piramidale la quale si eleva per tutto lo spazio visivo ( le due sommità del monte indicano la natura umana e quella divina di Cristo). Un’omelia attribuita a San Gregorio di Nissa paragona la Natività nella grotta con la luce spirituale apparsa all’ombra della morte che avvolge l’umanità. Nell’icona l’oscura cavità della grotta rappresenta in modo simbolico il mondo terreno, colpito dal peccato per colpa dell’uomo, nel quale sorge “il Sole di giustizia”.

Il neonato è il centro teologico della scena. Il bendaggio a fasce incrociate e il fatto che Gesù e’ posto più in un sepolcro dalla forma squadrata che in una mangiatoia evocano una raffigurazione mortuaria, richiamando l’immagine di Lazzaro risorto. Il Bambino fasciato è adagiato in una tomba prefigura così la futura Passione del Signore, creando un nesso tra l’Incarnazione e la Croce.

Intorno al gruppo della Madre e del neonato, attorno al quale sono raffigurati un bue e un asino, che scaldano il Bambino con il loro respiro, vi sono altri personaggi, innanzitutto Giuseppe, che si trova in primo piano. Sopra la caverna si vedono gli angeli, che cantano lodi e adorano “Dio fatto uomo”. Uno di essi è rivolto in basso con la mano destra tesa in un gesto allocutorio in direzione di un pastore che guarda su verso di lui, ascoltando l’annuncio della miracolosa nascita del Messia. Un altro pastore suona un flauto e alcune pecore vicine volgono lo sguardo in alto, esprimendo lo stupore del creato, che riconosce la presenza di Dio.

A sinistra della composizione si trovano i tre Magi, Baldassarre, Gaspare e Melchiorre, guidati dalla stella, la cui apparizione è menzionata dai Vangeli, e raffigurati a piedi, mentre portano gli scrigni con i doni al Salvatore. I Magi sono rappresentati di età differenti, in modo da sottolineare che la Rivelazione è offerta agli uomini indipendentemente dall’esperienza di vita. La stella si trova sull’asse di un fascio di luce emanato da una sorta di semisfera posta nella parte superiora dell’icona. Nel percorso dal cielo alla terra la luce si suddivide in tre raggi, segno dell’unità e trinità di Dio, di cui uno illumina il Bambino. Il collegamento luminoso tra la semisfera e la stella indica  che quest’ultima  è non solo un fenomeno cosmico ma anche un messaggio dell’aldilà.

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