Brevi notazioni sulla Divina Commedia
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Dante fu un ribelle mai allineato. Cosi lo descrive Roberto Saviano: Dante non fu solo un uomo di lettere, ma fu soprattutto un intellettuale impegnato, e la sua attività politica, insieme alla verve intellettuale, rovinò per sempre la vita sua. Per Dante non è esistito nulla al di fuori dell’impegno; ricordiamolo questo, quando ci viene consigliato di tenerci alti, equidistanti, di non entrare troppo nelle cose, di non essere divisivi, di non prendere posizione. Chi esorta l’intellettuale a essere distaccato, crede di vivere in un mondo pacificato, cosa che non è, che non è mai stata e che mai sarà. Dante fu accusato, dopo il colpo di Stato a Firenze del 1301, di «baratteria», cioè peculato e concussione, ovvero distrazione di fondi pubblici ed estorsione, in altri termini mazzette, che avrebbe preso per nominare i nuovi priori. Fu accusato anche di aver favorito gli amici, e — per danaro — di aver tradito Firenze e fatto opposizione al papa. Oggi la Commedia per noi è la Commedia. Ma quando Dante era vivo la Commedia era considerata un’accozzaglia di rutti, e per di più materia incandescente: troppo freschi i fatti di cronaca che raccontava; troppo aperti i giudizi che intercettava; troppo attuali i mali della cattiva politica che denunciava; e troppo viventi i mammasantissima che tirava in ballo. |
L’appassionata volontà di farsi banditore di verità e di giustizia deriva a Dante dalla sua vita travagliata: aveva assaporato l’amarezza dell’ingiustizia e sofferto per l’ingratitudine e la malizia dei suoi concittadini che gli diventano nemici -stando a Brunetto Latini- non perché ha operato male nella vita pubblica, ma per il suo “ ben far” .
L’ingratitudine per interessi di parte e’ quanto di più amaro può sperimentare un uomo che si dedica alla politica per spirito di servizio, così ieri come oggi. Dante richiama ancora quanto accaduto a Farinata degli Umberti. Nel Poema più volte torna il motivo dell’uomo onesto, corretto, che cade vittima dell’invidia, che è “la meretrice che mai dall’ospizio/ di Cesare non torse gli occhi putti/ morte comune, de le corti vizio”. L’invidia che Dante cita come il primo dei mali di Firenze perché da essa ebbero origine i contrasti e le lotte tra cittadini.
La faziosità e’ la degenerazione della politica, sconvolge l’ordine dei valori, opera senza tener conto del bene e del male, anzi riesce con la calunnia a trasformare in errore reato il “ben fare” dell’avversario. E’ questo il punto dolente della drammatica storia personale di Dante. Il perverso modo d’agire di cortigiani e politici corrotti contro gli onesti che hanno ben operato e’, dunque, più volte richiamato nel Poema e si traduce sinteticamente in un giudizio di grande efficacia: “… e però mal cammina/ qual si fa danno del ben fare altrui” (Pd. VI, 131-132).
(Segue)
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