Trattamento Fine Rapporto.
Non c'è motivo di cancellarlo;
il vero problema da risolvere
è il "cuneo fiscale"
Il TFR, giuridicamente oggi costituisce un credito del lavoratore nei confronti delle aziende che
matura durante lo svolgimento del rapporto lavorativo e diviene esigibile alla
sua cessazione.
Costituisce una “retribuzione differita”, secondo la qualificazione fattane
da Gino Giugni. Pertanto, il TFR, finora, si è configurato come una
retribuzione differita finalizzata a realizzare un “risparmio forzoso” per il
lavoratore e, non in funzione di sostegno al reddito nei casi di
disoccupazione, anche se c’è chi attribuisce ad esso anche natura
previdenziale.
La natura di “risparmio forzoso” trova riscontro nella previsione che i
lavoratori dipendenti con almeno 8 anni di servizio possono chiedere al datore
di lavoro un anticipazione del TFR sino al 70% per spese sanitarie per terapie
e interventi straordinari, acquisto della prima casa, anche per i figli,
astensione facoltativa per maternità e congedi per la formazione.
Sembrerebbe che la gran parte dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali
(Landini escluso) e imprese (Confindustria) preferiscono che il TFR rimanga
tale e attendono dal governo in materia di busta paga interventi di ben altra
natura per aumentare retribuzioni e profitti, a partire dalla diminuzione del
cosiddetto “cuneo fiscale”, il vero problema che finora rende alto, troppo alto, il costo del lavoro in Italia.
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