Si svolgono le Elezioni politiche generali per la 21ª legislatura.
Hanno partecipano al voto, al primo turno, il 53,8% degli aventi diritto La maggioranza governativa (Sinistra storica), pur conservando la maggioranza dei seggi, registrò una certa flessione di voti.
Il sistema elettorale in epoca liberale
Con la legge 5 maggio 1891, n. 210, fu stabilito il ritorno al collegio uninominale, aprendo la strada ad una nuova tabella dei collegi (approvata con r.d. 14 giugno 1891, n. 280).
Un anno dopo, la legge 28 giugno 1892, n. 315, modificò le norme sul ballottaggio, stabilendo che fosse eletto al primo turno il candidato che avesse ottenuto più di 1/6 dei voti degli elettori del collegio ed almeno la metà dei suffragi validamente espressi (al netto delle schede nulle).
Con la riforma del 1891-1892, la legislazione elettorale dell'età liberale trovò la sua sistemazione definitiva, grazie anche alla sedimentazione dei dibattiti politici ed accademici degli anni precedenti, nel senso dell'affermazione di un sistema uninominale maggioritario a doppio turno, sulla linea di quello costruito già all'avvio del regime rappresentativo nel 1848.
Con l'attivarsi, all'inizio del Novecento, di più complesse dinamiche politiche negli anni della prima evoluzione industriale dell'Italia, maturò nella classe dirigente liberale la scelta di intervenire nuovamente sul sistema elettorale, non però sul piano dei meccanismi di traduzione dei voti in seggi, ma sul piano dell'elettorato attivo, avviando il definitivo superamento della tradizionale concezione del diritto di voto come capacità.
Con la riforma del 1891-1892, la legislazione elettorale dell'età liberale trovò la sua sistemazione definitiva, grazie anche alla sedimentazione dei dibattiti politici ed accademici degli anni precedenti, nel senso dell'affermazione di un sistema uninominale maggioritario a doppio turno, sulla linea di quello costruito già all'avvio del regime rappresentativo nel 1848.
Con l'attivarsi, all'inizio del Novecento, di più complesse dinamiche politiche negli anni della prima evoluzione industriale dell'Italia, maturò nella classe dirigente liberale la scelta di intervenire nuovamente sul sistema elettorale, non però sul piano dei meccanismi di traduzione dei voti in seggi, ma sul piano dell'elettorato attivo, avviando il definitivo superamento della tradizionale concezione del diritto di voto come capacità.
Nel Testo unico 26 giugno 1913, n. 821, fu introdotto il "quasi suffragio universale". Senza rinnegare il principio, tipico del liberalismo classico, che il diritto di voto era l'esercizio di una capacità e non un diritto soggettivo, fu realizzato un ampio allargamento della platea degli aventi diritto.
Il diritto di voto fu infatti esteso ai cittadini maschi di oltre 30 anni, anche se analfabeti, ed ai cittadini di età compresa tra 21 e 30 anni che sapessero leggere e scrivere, o fossero in possesso dei requisiti fissati dalle precedenti leggi o avessero compiuto il servizio militare. Gli aventi diritto passarono così da 2.930.473 (1909) a 8.443.205. Date le caratteristiche sociali delle varie aree del paese, l'aumento degli elettori fu massimo in Sicilia, Sardegna, Calabria e Basilicata, mentre fu più limitato nelle regioni settentrionali, dove già l'alfabetizzazione era più estesa da prima.
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