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mercoledì 10 giugno 2020

10 Giugno

10 Giugno 1924
L'assassinio fascista di Giacomo Matteotti, segretario del PSU.

ricostruzione di Roberto Poggi,

pubblicata su Storia in Network

Alle 16,30 di quel 10 giugno Giacomo Matteotti uscì dalla sua abitazione in via Pisanelli, diretto alla fermata del tram n° 15 che da Piazza del Popolo conduceva a Montecitorio. Da settimane trascorreva i suoi pomeriggi presso la biblioteca della Camera dei Deputati, dove stava ultimando la stesura di un discorso sul bilancio provvisorio del governo che presentava aspetti oltre che  critici pure imbarazzanti per il governo di Mussolini e su cui aveva già denunciato il clima di violenze ed intimidazioni in cui si erano svolte in aprile le elezioni politiche
Matteotti svoltò in via Mancini e si diresse verso il lungotevere Arnaldo da Brescia. Dall’incrocio in cui erano appostati Dumini e la sua banda lo videro probabilmente uscire di casa e lo seguirono percorrendo in auto via degli Scialoja, parallela a via Mancini, sino al lungotevere.
Quando Matteotti raggiunse il lungotevere si trovò la Lancia Lambda di fronte a sé. Forse insospettito dalla presenza dell’auto o per puro caso, il deputato socialista attraversò il lungotevere portandosi sul lato che costeggia il fiume. Questo spostamento imprevisto obbligò gli aggressori a scoprire subito le loro intenzioni. Dumini e Viola rimasero dapprima in auto, gli altri tre corsero incontro a Matteotti, che si difese riuscendo a scaraventarne uno a terra. Probabilmente Poveromo, il più robusto del gruppo, colpì il deputato con un violento pugno al capo tramortendolo.
La colluttazione attirò l’attenzione dei passanti e degli abitanti delle case vicine. Renato Barzotti ed Amilcare Mascagna due ragazzini di dieci anni che erano scesi a giocare sul lungotevere si avvicinarono al gruppo di uomini che stavano lottando. Uno dei sicari intimò loro di andarsene alla svelta e per far capire che diceva sul serio non esitò a somministrare un ceffone al piccolo Renato Barzotti che due anni più tardi al processo di Chieti avrebbe riconosciuto in Dumini l’uomo che lo aveva colpito.
Con l’aiuto di Dumini e Viola gli assalitori afferrarono Matteotti per le braccia e per le gambe e lo trascinarono in posizione quasi orizzontale verso l’auto, continuando a colpirlo con violenza al volto ed al torace, secondo la testimonianza del netturbino Giovanni Pucci che qualche ora prima aveva già notato la Lancia ferma in via degli Scialoja. 
Malacria raggiunto il posto di guida, probabilmente per coprire le urla disperate dell’aggredito azionò con insistenza il clacson della Lancia. Quel suono attirò l’attenzione dell’avvocato Giovanni Cavanna, il cui studio si affacciava su via degli Scialoja. Dalla finestra l’avvocato poté vedere distintamente le ultime fasi dell’aggressione ed ebbe la prontezza di annotare il numero di targa della Lancia: 55-12169.
Altri testimoni, tra cui il quattordicenne Renato Bianchini, Corrado Carboni, Adelchi Frattaroli ed Eliseo De Leo che stavano risalendo dal greto del Tevere confermarono nella sostanza lo stesso racconto.
Gettato a viva forza nell’auto Matteotti continuò a difendersi con tenacia, dimenandosi. Secondo la testimonianza del piccolo Mascagna, il deputato socialista puntando con forza i piedi sul vetro che separava il posto di guida dall’abitacolo lo mandò in frantumi. Durante la lotta in auto riuscì anche a lanciare fuori dal finestrino la sua tessera da deputato, che fu rinvenuta qualche ora più tardi da due carrettieri, Pietro Gentili e Giuseppe Zaccardini, e dopo un paio di giorni fu consegnata alla polizia. I documenti che certamente Matteotti aveva con sé non furono invece mai ritrovati.
La Lancia Lambda partì a grande velocità in direzione Ponte Milvio verso la campagna romana.
Una o due pugnalate inferte nella zona toracica misero a tacere per sempre Matteotti. 

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