Dal Corriere della Sera
La Direzione della Commissione Europea che si occupa delle politiche di coesione a dire che l’Italia è al ventottesimo posto su ventotto Paesi dell’Unione per capacità di spesa dei 450 miliardi di euro che la Commissione dedica allo sviluppo delle Regioni europee. Siamo dietro alla Croazia che nell’Unione è appena entrata, in una classifica dominata dalla Grecia e dal Portogallo che
hanno avuto l’umiltà di accorgersi di non poter sprecare neppure un euro dei fondi strutturali. Si tratta di una somma ingente, del 40% del budget della Commissione, e la cifra che l’Italia ha avuto a disposizione per il periodo che va dal 2014 al 2020 sarebbe stata sufficiente per aggiungere due punti percentuali al Pil del Mezzogiorno senza pesare sul debito dello Stato.
Il fallimento dell’Italia mette, invece, a rischio la credibilità di un’intera politica che — con la Francia — abbiamo inventato negli anni ottanta.
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Il Mezzogiorno si sta staccando da Paesi che in Europa non sono mai entrati e si sta trasformando in un deserto abitato da pensionati, formatori e consulenti dei f
ondi strutturali. E, tuttavia, l’amministrazione pubblica — centrale e non solo regionale, perché i programmi per il Mezzogiorno sono gestiti anche dai ministeri e da un’Agenzia istituita per coordinare gli interventi — attraversa stagioni politiche di colore opposto senza mai essere messa in discussione.
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Non è con le guerre di posizione sui principi che si salva l’Italia e l’Europa legate dalla stessa crisi. Ma con il pragmatismo di chi riconosce che la battaglia vera si gioca cambiando persone, metodi e obiettivi di una burocrazia che è, da anni, il muro invisibile contro il quale si infrange qualsiasi progetto di cambiamento.
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