A quel punto capimmo subito chi stava CAVALCANDO LA TIGRE. Era il Partito Comunista che, come al solito, non si lasciava sfuggire nessuna occasione per dare addosso al governo ed ai suoi ministri. Benevolmente, voglio illudermi che la scelta del posto non sia stata ispirata dal colore “rosso fiammante” della struttura. E non ci sarebbe da meravigliarsi, più di tanto, tenendo conto della furba importanza che i comunisti attribuivano alle simbologie, specialmente quando, per opportunità, dovevano rinunciare a far sventolare le bandiere rosse. Noi tre rappresentanti di Corigliano, intimiditi da un apparato già istruito ed educato alla protesta, assistemmo allo stile organizzativo di un ”Apparatnik” di stampo squisitamente bolscevico, che ebbe immediata conferma quando gli “agit-prop” della delegazione cosentina, con apparente “leale senso di ospitalità”, proposero di eleggere presidente del “Comitato di Protesta” un rappresentante “ospite”. E mentre i miei due colleghi coriglianesi pensavano di propormi come probabile candidato, il comitato, con tempestiva alzata di mano, aveva già acclamato UGO BRUNO, del Liceo Classico di Rossano. E chi era questo illustre sconosciuto? Sconosciuto un corno. Per noi, forse, ma per l’Apparatnik, che lo chiamava, con amorevole familiairità, UGHETTO, era notoriamente il figlio del deputato comunista rossanese Giovanni Bruno, cosa che lo elevava, automaticamente, al rango di leader. Capimmo subito che la battaglia era persa per un duplice motivo: -Il ministro Segni non era tipo da farsi intimidire dalla protesta di pochi mocciosi manovrati con mire “rivoluzionarie” da sobillatori comunisti. Erano ancora da venire gli anni della protesta indiscriminata in cui, spesso, i ministri erano collusi con gli scioperanti e la promozione un diritto acquisito dei “figli del popolo”. -Il ministro degli Interni, Scelba, non aveva alcun timore della piazza scatenata a fini demagogici, figuriamoci, poi, se composta di giovani. Tornati a Corigliano mi toccò riferire l’inevitabile fallimento della nostra protesta e, conseguentemente, la decisione di interrompere l’ormai inutile sciopero, rivelatosi una battaglia persa a causa di quella strumentalizzata campagna politica. Quella desistenza ci procurò l’infamante accusa di “crumiri” da parte dei colleghi rossanesi. E figuriamoci se ci facevamo intimorire da quattro invasati “servi sciocchi” della “Rivoluzione ad ogni costo”. Infatti, come previsto, la protesta, in campo nazionale, fu un “flop”. Quell’anno, la mia classe, composta di 19 alunni, fu decimata, agli esami, e la maturità fu conseguita da appena 8 candidati, ed io tra questi. E siccome almeno due erano ripetenti, vuol dire che, della originaria classe della prima liceo, solo in sei coronammo il sogno. Vi furono ben 11 impietosamente respinti (di cui già tre ripetenti). E non crediate che fossero delle bestie. Tutt’altro. Vi posso garantire che oggi, col grado di cultura imperante, sarebbero stati promossi col massimo de voti. Ma erano altri tempi, quando la cultura si misurava a millimetri e non a spanne.
Ernesto Scura
P.S.A proposito di spanne, non guasta riportare un episodio di cui, molto tempo dopo, negli anni 70, fui protagonista a Cosenza, dove Insegnavo Costruzioni all’Istituto Tecnico per Geometri. Tra i docenti c’era un professore di Chimica, collaboratore del Preside, che si dava molto da fare (è evidente che aveva tempo da perdere) nel curare i rapporti con gli alunni, specie quando c’era da organizzare scioperi e manifestazioni di protesta, meglio ancora se si trattava di ghiotti avvenimenti politici, nazionali ed internazionali. E in Sala Insegnanti non rinunciava a sermoneggiare sulla necessità di una scuola più facile ed aperta anche ai meno dotati, tanto per realizzare il livellamento che avrebbe dovuto eliminare le “disparità sociali”, facendo la solita ipocrita confusione tra merito e condizioni economiche. Era evidente la sua matrice “sessantottina” con conseguimento della “Laurea di Gruppo” in cui, uno solo, maldestramente, relazionava, e gli altri “meritavano”, del resto, come già avveniva in corso di esami, dove il minimo voto assicurato era il 25/30. Io mi guardavo bene da interloquire con lui. Un giorno, però, si rivolse a me direttamente, chiedendo un mio parere sul suo sogno di una scuola più facile. Sbottai : “ Ma non vedi i guasti che stanno combinando queste teorie? Non vedi il degrado culturale di insegnanti che, ottenuta una qualche laurea usurpata a “furor di popolo”, vengono a rovinare i poveri allievi, anche nella nostra scuola?” Il riferimento alla sua laurea era troppo palese, per cui ritenne fosse suo dovere fare una qualche raffazzonata precisazione, e cominciò:“ IO, QUANDO MI HO PRESA LA LAUREA...” Non lo lasciai continuare e fulminandolo con lo sguardo, scandii: “...QUANDO MI SON PRESA LA LAUREA” e girai le spalle ed andai via. Subito dopo, mi ricorsero gli altri docenti: “Erne’, l’hai distrutto”. Ed era vero. Da quel giorno, quando mi vedeva, mi evitava e, per mia fortuna, ed anche sua, evitava di fare “comizi” in sala insegnanti.
Ernesto SCURA
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