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lunedì 14 dicembre 2020

L'Uomo. Dalle caverne a ... (2)

 Virus, Comid-19, Pandemia ... e molto altro

 Fino a Darwin (1809-1882) si immaginava fosse possibile conciliare "natura" e "cultura"; l'ipotesi era che questa ultima fosse spuntata fra gli uomini in forza della selezione naturale, come portato di raffinatezza rispetto ai valori della sopravvivenza e della riproduzione. La convinzione era che la cultura avrebbe messo l'uomo al riparo dai tanti e diversi eventi della natura e egli avrebbe avuto più possibilità nel "gioco" rispetto alla natura. 

Con Darwin la Scienza era ancora nell'alveo di processi biologici, pur provando a distanziarsi da essi.

Già all'inizio del Novecento i filosofi si accorgono che la tecnologia e per essa le macchine tendono a raggiungere situazioni di eccentramento rispetto all'uomo (= l'uno nell'altro non hanno lo stesso centro; non sono più concentrici). Sempre i filosofi e nel tempo anche gli uomini comuni -in pratica- cominciano ad accorgersi che il portato positivo e in più sensi salvifico della tecnologia possiede in sé una doppia conseguenza: salvifica e nello stesso tempo di fatale deperimento dell'uomo. Accade che l'uomo -via via- nello scorrere dei decenni del Novecento si accorge di essere stato surclassato dalla tecnologia.

Martin Heidegger (Filosofo 1899-1986) e Hans Jonas (filosofo 1903-1993) cominciano a parlare e a scrivere che il progresso tecnologico ha impresso a se stesso una accellerazione geometrica rispetto all'avanzamento e al futuro dell'Homo sapiens sapiens e soprattutto che quell'accellerazione ha introdotto una notevole contrazione di quelli che erano stati definiti i predicati dell'umanità.

Cosa intendono dire i due maestri, in termini più facili? che già alla fine del XX secolo si poteva cogliere nettamente agli occhi della cultura diffusa degli uomini come il peso degli strumenti di metallo (=la nuova tecnologia) sia di colpo implosi in mano agli uomini medesimi. Quello che doveva essere un supporto tecnologico in realtà, secondoi Marshall McLuhan (sociologo, filosofo, critico letterario 1911-1980), stava in realtà modificando il sostrato biologico dell'uomo. Lo stava impoverendo. La tecnologia pur restando esterna all'uomo, tuttavia si incarnava nell'uomo modificando la pressione selettiva e -nel lungo periodo- pure l'intero set di geni che appartengono a tutti gli individui. Secondo gli studiosi -quindi- gli slittamenti nella personalità dell'uomo non sono a priori prevedibili, nè sono sotto il suo dominio, dell'uomo.

Per chiudere questa pagina, sembrerebbe che ci siamo avviati, in quanto umanità, verso un orizzonte che ci darà sensazioni di incompletezza rispetto all'alta performatività (grazie alla tecnica) di cui godiamo  e di conseguenza la pochezza di prestazioni realizzabili in ambito personale, ci darà solitudine, inadeguatezza. Ci ri-troveremo insomma in più circostanze di  riflettere sulla nostra personale "incompletezza".  

La tecnica come scrivevamo nel post precedente non sarà -pare di capire- una stampella che supplirà la nostra natura zoppicante, ma ci arriverà da supporti esterni. 

Saranno giorni -in altri termini- in cui l'uomo non sarà più misura del mondo, nè sarà al centro del mondo. Secondo alcuni la tecnica verrà vista come motore di contaminazione che di volta in volta altererà il concetto di "umanità", essendo questo concetto non più improntato all'autoreferenzialità ma al dialogo con "alterità" non più umane ma tecnologiche.

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