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venerdì 22 novembre 2019

Mulini e mulinara. Alla ricerca della Sicilia pre-moderna e non ancora contemporanea

I mulini di Bagnitelle precedono
o seguono la fondazione di Contessa E. ?

Quale era ai primi del Cinquecento il regime giuridico dei mulini in Sicilia? 
Proveremo a capire la disciplina dei mulini ad acqua che erano quelli prevalenti -in assoluto- ed operavano in contemporanea (ma molto raramente) con i mulini azionati dalla forza animale. 
Nessuna ricerca storica ha evidenziato finora tracce nell'isola di mulini a vento.

Allora non esisteva -in quella che era l'era feudale- la proprietà privata della terra, se non in sporadici casi, e non era nemmeno prevista la possibilità di un regime privatistico dei corsi d'acqua. I mulini per operare avevano bisogno della forza, dell'urto, dei corsi d'acqua.

In Sicilia gli impianti e le strutture dei mulini si potevano realizzare sul suolo di chi ne deteneva il dominio, ossia sulla terra dei baroni civili e/o di quelli ecclesiastici. Per attenerci alla realtà territoriale che sta vicina all'attuale Contessa Entellina possiamo asserire con documentazione preziosa ancora oggi custodita che l'Abazia di Santa Maria del Bosco era proprietaria di tutti i mulini che insistevano (ed in parte insistono ai nostri giorni con vincolo storico) sul territorio di Bisacquino (località: Vaccarizzotto, Alvano, Tarucco e ancora altri) e possiamo, per altro verso, asserire che tutti i mulini che insistevano sull'attuale territorio di Contessa Entellina (Bagnitelle, e non solo quelli) appartenevano ai Baroni privati che -come è noto- sono stati espressione nel corso del tempo delle famiglie Peralta, Cardona, Gioeni ed infine Colonna.
Ovviamente nè i baroni feudali nè le abazie ecclesiastiche gestivano direttamente l'attività molitoria. Ma questo è un aspetto su cui avremo modo di tornare.

Restando sul piano prettamente giuridico riportiamo lo stralcio di una disposizione regia (e ripresa negli Statuti di quasi tutte le città demaniali di quel lontano Cinquecento) che ammetteva che chiunque (che poi significava i "baroni" e gli "enti ecclesiastici") 
può fare i molini in solo proprio e
nulla proinde Curie licentia postulata.
Realizzare gli impianti molitori sul proprio terreno era consentito a chiunque ne fosse detentore e ciò poteva avvenire senza che occorresse presentare richiesta di licenza o autorizzazione alla Curia regia.

Abbiamo già chiarito sopra che non in un regime economico dell'età liberale si era in quel Cinquecento. Quella libertà valeva -quindi- solamente per i baroni aristocratici e le abazie (o anche i Vescovati). Valeva anche per gli aristocratici delle "Secrezie" (organi regi preposti alla gestione delle entrate pubbliche e le "iuria regalia" i quali operavano nelle città demaniali, che nella nostra area lo era solamente Corleone.

Nei territori di Contessa e di Bisacquino, per circoscrivere il nostro campo di interesse, i mulini erano "baronum privilegiis" e si legge sulle carte e sui libri "res reservata".

La presenza e la Storia dei mulini in Sicilia in quel Cinquecento -da cui stiamo iniziando un percorso- era ormai consolidata, era in più casi operante sin dall'epoca bizantina e poi nei secoli successivi soprattutto con i normanni e gli angioini. Pochi mulini furono ulteriormente costruiti successivamente al Cinquecento/Seicento nell'isola.
Un documento regio/(Vice regio) del Cinquecento (1513) prova comunque in qualche modo ad ingerirsi nella sfera assoluta dei baroni e degli enti ecclesiastici in materia di mulini. Questi ultimi non potevano procedere all'utilizzo dei saltus molendinorum, li quali non ponno conchediri li baruni di lu regnu quia est regia curie riservata et quannu alcuno volissi fari molino lu remanderiti ad nui".

Questo provvedimento è in qualche modo contemporaneo ai primi decenni di presenza arbëreshe sul territorio dei Cardona. 

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