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sabato 16 novembre 2019

L'Italia in affanno. Non si tratta di malasorte perchè gravissime sono le responsabilità della politica

A Taranto la Arcelor Mittal ha annunciato che spegnerà gli altiforni a gennaio, senza aspettare che glielo ordinino i magistrati del posto che già sono intervenuti altre volte sugli impianti. 
La motivazione, o meglio il cavillo giuridico che consente la rescissione del contratto l'hanno offerto i M5S che nello scorso mese di Ottobre; -con un voto in Senato- hanno reso possibile la revoca delle clausole di salvaguardia legale (lo scudo) che costituiva parte integrante degli accordi di insediamento. 
A Venezia l’acqua stavolta è stata non alta ma altissima e ha devastato tutto e contemporaneamente ci ha ricordato, a noi contribuenti italiani, che da un trentennio sono stati spesi sei miliardi di euro per realizzare un'opera colossale (il Mose), mai entrata in funzione ma che ha consentito a politicanti e a mascalzoni di vivere di tangenti e ruberie da anni.
Da nord a sud l’Italia affonda. 
Forse Venezia si sarebbe salvata se ci fosse stato il Mose, il sistema di dighe mobili. Sembra quasi un male oscuro, ma oscuro non è. 
A parte la disonesta e l'ignoranza di tanti politici, esistono eventi alimentati da madre natura che l'uomo non sempre riesce a dominare come dovrebbe:
-cambiamenti climatici, 
-dissesto idrogeologico del territorio, 
-crisi dell’industria.
Tutti fattori che danno la sensazione di contribuire a rendere l’Italia un paese fragile, che rischia di andare in frantumi.
L’innalzamento continuo del mare per l’aumento delle temperature non è certamente un mistero. Nel lontano 1984 fu decisa la realizzazione del Mose, un sistema di dighe mobile incaricato di ovviare all’innalzamento del mare. Ma il Mose, costato finora quasi 6 miliardi per le 78 paratoie,  in grado di reggere (stando alle promesse) fino a 3 metri di acque alta, tra scandali e ritardi burocratici  non è pronto. Secondo il premier Conte: per il Mose «siamo al 92-93% dell’opera». 
Altre emergenze. Le strade di Matera di sono trasformate in questi giorni in fiumi per le piogge torrenziali. I temporali hanno causato una enorme voragine in una via di Napoli e due palazzi sono stati sgombrati per motivi di sicurezza.
Tornando a Taranto, lì si rischia la chiusura dell’ex Ilva, la più grande acciaieria d’Europa, ed il punto centrale dei contrasti non è colpa di madre natura ma dell'inadeguatezza della politica. La revoca dello scudo penale deciso del governo giallo-rosso su richiesta del M5S rischia di rendere ulteriormente più desertico il tessuto industriale del Meridione. Luigi Di Maio, il politico improvvisato?, lo ha definito «un pretesto» della multinazionale perché nell’ultimo anno è calata la richiesta di acciaio.
Probabilmente sarà anche «un pretesto», ma a fornire il «pretesto» è stata la Politica, miope nel non accorgersi che vanno a rischio circa 15 mila posti tra lavoratori dipendenti ed indotto.  Secondo il ‘Corriere della Sera’ l’Italia rischia di perdere 10 miliardi di euro tra danni (industriali, ambientali, occupazionali) e mancati investimenti per i quali si era impegnata l’Arcelor Mittal (oltre 4 miliardi tra ammodernamento degli impianti e bonifiche ambientali). 

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