“Non credevo che potessero odiarmi così tanto”, avrebbe detto Matteo Renzi ai suoi nell’ora più cupa della sconfitta, stando a un’attenta cronaca di Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera. “Un odio distillato, purissimo”, ma non degli italiani bensì dei suoi nemici nel Pd, avrebbe tenuto a precisare.
GIULIA INNOCENZI, giornalista
Il diritto al vitalizio per i nuovi parlamentari scatterà da settembre 2017. Secondo voi andremo al voto anticipato prima di quella data?
GIULIANO PISAPIA, già sindaco di Milano
"Questo è il momento della verità. Sono pronto a tornare in pista per raccogliere l'eredità del movimento arancione, a unire la sinistra fuori dal Pd ma che vuole ricreare un grande centro sinistra. Ma Renzi escluda qualsiasi patto con Alfano o Verdini".
FLAVIA PERINA, giornalista
E il voto di domenica 4 dicembre ci dice appunto questo: persino in un Paese sostanzialmente conservatore come l'Italia, persino con un leader giovane, che nell'ultimo anno ha distribuito risorse un po' dappertutto, o si dà un significato decente e condiviso a queste espressioni oppure si viene travolti.
Dire “riforme” non basta. Dire “svolta” non è sufficiente. Raccontare domani che cantano senza cucirci intorno consapevolezza e condivisione, non funziona, soprattutto se si tiene un piede nella rottamazione e uno nel continuismo.
Adesso è toccato a Renzi, ma al prossimo, chiunque sia, non andrà meglio e sarebbe bene che su questo riflettano un po' i partiti anziché rifugiarsi, come già sta avvenendo, nel politichese e nei calcoli di convenienza immediata.
ANTONIO POLITO, editorialista del Corriere della Sera
Intendiamoci: la sconfitta del premier al referendum ha ferito a morte anche la legislatura. È già un miracolo che sia arrivata fin qui, per come era nata. Aver fallito l’obiettivo della Grande Riforma provoca dunque non solo la crisi del governo Renzi, ma anche del Parlamento che lo ha espresso facendo ampio uso di alchimie (un partito che si chiama Nuovo centrodestra in un governo di centrosinistra) e di trasformismi (i verdiniani seduti insieme con i transfughi montiani e vendoliani). È chiaro che la legislatura difficilmente troverà sufficiente benzina per arrivare fino alla scadenza naturale del 2018. E in ogni caso l’elettorato non sopporterebbe manifestazioni di accanimento al potere. Però, prima di votare, ci vogliono regole che rendano utile il voto, che lo traducano in maggioranze e governi. E questo è lavoro dei politici che non può essere scaricato sui cittadini, nemmeno chiedendo loro l’ennesimo plebiscito. Soprattutto quando il plebiscito precedente è andato male.
È ragionevole dunque la posizione che sembra farsi strada nel Pd dopo molte incertezze, favorevole alla nascita di un «governo di responsabilità nazionale» che sistemi la legge elettorale prima delle urne. A patto che non si tratti dell’inizio del famoso gioco del cerino, e la richiesta che tutti i partiti ne facciano parte non sia solo un espediente per dichiarare fallito il tentativo di fronte allo scontato no di Grillo o di Salvini. Bisogna infatti tener presente che sul Pd ricade la responsabilità maggiore, perché dispone di circa quattrocento parlamentari e perché spetta al partito di maggioranza fare ciò che si deve per evitare avventure. Già il referendum è stata una partita mal concepita; sarebbe molto pericoloso per lo stesso Pd se la sua crisi si scaricasse ora sul Paese.
FERDINANDO LONGOBARDI,
Chi potrebbe dar torto a tutti coloro che in questi anni si sono allontanati dalla politica? La situazione sembra immutabile: corruzione, assenza di valori, dubbi, compromessi. Ma anche persone che si ostinano a lottare tenacemente per il loro Paese: giornalisti (pochi), autori satirici (censurati), insegnanti (dalle paghe irrisorie). A questo punto viene da chiedersi che fine ha fatto la democrazia, ma addirittura se la democrazia sia mai esistita. A ben vedere, tutti gli esempi di democrazia che possiamo citare si riducono a una forma di oligocrazia che usa la collettività per trovare una legittimazione alle proprie azioni. Oggi, poi, certamente questo fenomeno è più diffuso, più incisivo e più pericoloso. La relazione tra elettorato ed eletto è diventata sempre più bidimensionale: senza più la terza dimensione dell’identità ideale.
Ciò che accomuna quasi tutte le attuali rappresentanze politiche organizzate è infatti lo sforzo di nascondere il passato sotto il tappeto, cancellare i segni di qualsiasi cosa che possa somigliare a una ideologia, a una storia politica, a un retaggio sociale.
FERDINANDO LONGOBARDI,
Fondazione IFEL Campania
Ciò che accomuna quasi tutte le attuali rappresentanze politiche organizzate è infatti lo sforzo di nascondere il passato sotto il tappeto, cancellare i segni di qualsiasi cosa che possa somigliare a una ideologia, a una storia politica, a un retaggio sociale.
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