LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
ROMA.
In Italia oltre una persona su quattro è a
rischio povertà o esclusione sociale. L'Istat traccia un'area di crisi che
tiene dentro il 28,7% della popolazione, pari a 17,5 milioni di individui, tra
chi vive sotto la soglia minima di reddito, chi lavora solo pochi giorni l'anno
e chi si trova a dovere rinunciare a spese essenziali.
Il livello registrato nel 2015 si mantiene
«sostanzialmente stabile» per l'Istituto di statistica, anche se, guardando
alle virgole, rispetto all'anno precedente si nota un leggero rialzo (era il
28,3%). Un aumento dovuto alla crescita di quanti vanno avanti con un budget
considerato, appunto, a «rischio povertà» (9.508 euro annui). Si tratta del
19,9% della popolazione, la fetta più pesante dell'intera fascia per cui l'Istat
lancia l'allarme. La percentuale è al livello massimo da almeno undici anni.
Rimane invece stabile la quo ta di coloro che si trovano in condizioni di
«grave deprivazione materiale» (11,5%).
Una formula statistica che racchiude chi
manifesta almeno segnali di disagio: dagli arretrati nei pagamenti
all'impossibilità di riscaldare casa. Completano il cerchio le famiglie a
«bassa intensità lavorativa», dove è molto più il tempo trascorso in
disoccupazione che a lavoro.
Versa in questo stato 1'11,7% dei 18-59enni.
L'Istat passa ai raggi × anche i redditi. Qui l'analisi non va oltre il 2014,
ma i risultati danno l'idea dei movimenti in atto: per la prima volta
dall'inizio della crisi la curva non guarda più verso il basso. Se però si va
oltre la media (2mila euro mensili netti per famiglia), si scopre che dal 2009
le disuguaglianze non hanno fatto altro che crescere, con i più ricchi che
guadagnano circa cinque volte i più poveri.
L'Italia presenta un divario superiore alla media
europea. E gli obiettivi della Strategia 2020 dell'Ue sembrano sempre più
lontani: per centrate ü target bisognerebbe portare fuori dalla povertà e
dell'esclusione sociale ben 4,5 milioni di persone. Ancora una volta a soffrire
di più è il Mezzogiorno, dove ü fenomeno coinvolge il 46,4% dei residenti,
quasi uno su due. Un valore in rialzo a confronto con il 2014 e notevolmente
superiore alla media nazionale. Un'Italia che apparirebbe spaccata quindi,
tanto più se si va a vedere nel dettaglio (tra la provincia autonomia di
Bolzano e la Sicilia ci sono oltre quaranta punti di differenza).
In Sicilia si registrano punte del 55,4%, in
Puglia il tasso è del 47,8%, in Campania del 46,1%. Ecco che trasferirsi
diventa una soluzione, ma sempre più chi si sposta fa una scelta radicale:
abbandona i confini nazionali per espatriare. L'Istat ha certificato che i
numero degli emigranti ha superato le centomila unità (+15% sul 2014), con meta
preferita il Regno Unito (ancora non c'era stata la Brexit), mentre il tasso di
mobilità interna è ai minimi da dodici anni. Certo trasferirsi è più facile
quando si è giovani. Le cose cambiano con l'andare degli anni e soprattutto se
si mette su famiglia. Tanto che il rischio di cadere nella trappola del disagio
tocca i picchi proprio tra le famiglie più numerose e con più bambini a carico.
Non a caso si parla di bassa natalità, meno fìgli e sempre più tardi.
I conti, insomma, tornano.
Marianna Bertí
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