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giovedì 22 dicembre 2016

Giuliano Poletti. Pure il Corriere della Sera ...



 




Fabrizio Roncone 
ROMA 
Un pomeriggio intero a ricostruire tutte le strepitose gaffe collezionate dal ministro Giuliano Poletti. Saltano fuori anche un mucchio di imitazioni del comico Maurizio Crozza (memorabile la gag in cui dice: «Le ore di lavoro sono parametri odiosi...». Battuta mai pronunciata dal ministro che in compenso, però, nel novembre del 2015, ne sfornò una forse persino migliore: «Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21». 
Poi salta fuori una foto. Una brutta foto. Roba di due anni fa, erano i giorni dell'inchiesta denominata Mafia Capitale. Poletti è seduto a una tavolata in compagnia di ceffi tremendi: c'è Salvatore Buzzi, responsabile della Cooperativa 29 giugno e compare di Massimo Carminati, «er cecato», Banda della Magliana, entrambi considerati i capi del malaffare romano e attualmente, per questo, processati. Ci sono l'ex boss dell'Ama Franco Panzironi (poi arrestato) e un esponente del clan dei Casamonica (la pancia debordante sotto la felpa con la scritta Italia). 
Della simpatica brigata, anche l'ex sindaco Gianni Alemanno e un gruppetto di facce del peggior sottobosco politico capitolino. Lo scatto fu realizzato nel 2010, quando Giuliano Poletti non era ancora ministro ma solo — diciamo cosi — il potente presidente della Lega delle Cooperative. 
La domanda, quindi, resta identica e ancora attuale: che ci faceva li, accanto a certi personaggi, in una cena che Buzzi aveva organizzato per ringraziare tutti «i politici che ci sono a fianco?». La risposta di Poletti fu: «È una foto vecchia, davvero sgradevole tirarmi in ballo». 
Perché poi Poletti la risolve sempre cosi: non avete capito, siete sgradevoli, ora vi ripeto tutto, ascoltatemi bene. Ci prova anche adesso. Sul web sta facendo girare un breve video in cui cerca di raddrizzare la sua ultima tragica dichiarazione: «Se 100 mila giovani se ne sono andati, non è che qui sono rimasti 60 milioni di pistola... Questo Paese non soffrirà a non averli più tra i piedi». Ma è teso e goffo, nel video: chiede scusa e rispiega, modificandoli, i suoi concetti imbarazzato e scarsa mente credibile. Infatti, non gli credono. Lega Nord, M5S e Sinistra italiana presentano mozioni di sfiducia alla Camera e al Senato: i Giovani del Pd gli chiedono di dimettersi. Lui: «Non mi dimetto certo per una mezza frase mal interpretata» (spiegazione fornita a un ministro. Poi, lo stesso ministro, facendosi giurare di non finire sul giornale: «Sprecata una grande occasione: andava cacciato un'ora dopo. Ora, purtroppo, è tardi»). Che poi: questo secondo giro a Palazzo Chigi, secondo numerosi autorevoli retroscenisti, Poletti se lo sarebbe dovuto guardare da casa. Da Imola. 
Nasce, a Spazzate Sassatelli (una frazione di Imola) 65 anni fa, famiglia di contadini, diploma da agrotecnico (a volerli contare, dopo Valeria Fedeli, siamo già al secondo ministro senza laurea). Comunque per quello che deve fare Poletti, l'università sarebbe stata una pura perdita di tempo. A 25 anni è assessore all'Agricoltura, a 30 segretario della federazione del Pci («Si, nel Pci siam stati in tanti... Ci dovremmo mica sparare per questa colpa?»). Poco dopo, diventa consigliere provinciale a Bologna per il Pds. Il posto giusto per realizzare il suo piano: entrare in LegaCoop, scalarla e diventarne capo assoluto (ci riesce nel 2002). 
Carrierona, va. 
Amico di Pier Luigi Bersani, ossequioso con Massimo D'Alema, ben visto nel centrodestra: all'apparenza mite, si fa inseguire dalla leggenda d'essere un camperista («Carico mia moglie e i miei due figli e via, partiamo verso la libertà») e di essere un buongustaio (anche se accanto a un ceffo come Buzzi, la cena dovrebbe andarti di traverso). 
In realtà: uomo astuto, pragmatico, spregiudicato. Per capirci: quando all'orizzonte vede spuntare Matteo Renzi, tradisce Bersani e, alle primarie, si fionda a tirargli la volata. Si volta e si ritrova, pure lui, a Palazzo Chigi. All'inizio, spiega le linee guida del Job Acts sfoggiando un non scontato liberismo emiliano e scatenando, perciò, dosi di curiosità (ma i deputati con il suo stesso accento, ammoniscono: occhio, che è un bluff). 
Poi comincia a infilarne una dietro l'altra. Crozza si scatena. Non sembra confermabile da Paolo Gentiloni al ministero del Lavoro. E invece, come direbbe — magari — Bersani, «Oooooh, ragassi, adesso siam qui a cercare di mettere la camicia di forza ad una pentola a pressione». 

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