La ricerca letteraria di Dostoevskij è quasi sempre in direzione:
-della psiche umana imperfetta
-dell'anima ferita
-dell'anima ribelle
-dell'anima che anela all'armonia
-dell'anima che si dibatte fra il bene ed il male e che cerca la realizzazione attraverso prove dolorose e laceranti.
Egli, a proposito di questo suo propendere, scrive "Nel pieno realismo mi propongo di trovare l'uomo nell'uomo" ed ancora "Mi definiscono psicologo: non è esatto, io sono soltanto realista nel senso alto del termine, cioè rappresento tutte le profondità dell'anima umana".
L'avvio della carriera letteraria
A ventitré anni è già famoso grazie al primo romanzo Povera gente.
A creargli l'aureola di grande scrittore è il sostegno della critica letteraria ed in particolare quella dell'autorevole Vissaron Belinskij, un acceso radicale con orientamenti vagamente socialistoidi.
La stessa critica gli gira tuttavia le spalle alla pubblicazione della seconda opera Sosia. A predominare in questa non è tanto la denuncia sociale -verso cui puntava l'intelligentia- quanto la problematica psicologica dei personaggi, il loro conflitto interiore che li travolge con i propri turbamenti talora fino alla follia e alla morte.
Durante l'agitato 1848 egli entra a far parte di gruppi politici giovanili il cui miraggio è di perseguire nella società russa l'armonia sociale e di rivendicare condizioni di vita migliori per tutto il pianeta.
In questo campo politico-culturale egli non assumerà mai posizioni rivoluzionarie ma ne condivide alcuni obiettivi:
--l'abolizione della servitù della gleba
--l'abolizione della censura, dell'oppressione e della povertà.
Nel clima di tensione di quel 1848 la polizia zarista decide di stringere la morsa su molti circoli intellettuali della captale e l'intero gruppo cui aderisce Dostoevskij viene arrestato e processato. L'esito è di 21 condanne alla fucilazione, fra cui è incluso lo stesso Dostoevskij.
Lo Zar commuta le condanne in lavori forzati nella lontana Siberia, ma la grazia viene comunicata agli interessati solamente quando si troveranno davanti al plotone di esecuzione.
Gli istanti passati in attesa dell'esecuzione Dostoevskij li trasfonderà nel romanzo l'Idiota.
In una lettera al fratello scrive: "La vita è dappertutto, la vita è in noi stessi e non fuori di noi. Accanto a me ci saranno sempre degli esseri umani: essere uomo fra gli uomini e restarlo sempre, in nessuna sventura avvilirsi o perdersi d'animo, ecco in che cosa consiste la vita, ecco il suo compito.
Ne ho preso coscienza ora.
Questa idea è entrata nella mia carne e nel mio sangue".
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