Le classi dirigenti hanno l’onere di
inventare e programmare il domani.
Mancano ancora pochi anni dal sessantennio del devastante e tragico terremoto del gennaio 1968 che ha distrutto l’assetto urbanistico/abitativo, allora prettamente contadino, dell’intera Valle del Belice. Cinquantatré anni abbondanti -per la precisione- dagli eventi sismici sono già tanti, e nello stesso tempo sono pochi, nell’avere assistito alla travolgente trasformazione della realtà socio-economica e a quella della rappresentazione stessa del vasto territorio.
Come poteva non andare così?
Ultimata ormai da più decenni la fase della ricostruzione abitativa, nelle attese e nella consapevolezza delle popolazioni del Belice non poteva che dilatarsi l’insicurezza sul domani ed infatti in ogni realtà locale sono rivolte verso l’esterno della Valle le ragioni di conseguimento della dignitosa sopravvivenza: occorre quindi emigrare!
La politica, quella del fare, nella Valle risulta ancora ad oggi ferma su ciò che i Belfiore, i Montalbano, i Di Martino, i Corrao e altri impostarono negli anni ‘70 del Novecento. E noi tutti sappiamo che la Politica è vita: necessità di studio, volontà, visione e ri-adattamento ai nuovi giorni, per inventare e programmare il domani.
(Segue)
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