Patto di Stabilità e Crescita
Si e’ parlato con massima continuità in questi giorni di patto di stabilità e crescita. L’espressione comprende l’insieme delle regole che garantiscono la disciplina di bilancio dei Paesi aderenti all’Ue stante la circostanza che fra essi vige sia l’unione economica che quella monetaria. Il Patto è stato siglato nel 1997 e poi, anno dopo anno, sono stati aggiunti vari altri regolamenti. Il risultato finale si sostanzia in un meccanismo molto complicato. Il patto è stato sospeso nel marzo 2020 a causa della crisi economica scatenata dalla pandemia e -allora- sulla stabilità finanziaria dell’euro e’ prevalsa la necessità della spesa medico-sanitaria e quella sociale a tutela di tutti i cittadini europei. Il Patto tornerà in vigore dal primo gennaio del prossimo anno (2024).
I ministri finanziari in questi ultimi giorni del 2023 hanno cercando un accordo sulla riforma del patto di Stabilità proposta dalla Commissione europea in aprile con l’obiettivo di evitare che la riduzione del debito pubblico nei Paesi porti a una contrazione degli investimenti e della crescita, e quindi del benessere.
I Paesi Ue con un rapporto debito/Pil superiore al 60% ( fra cui da sempre si ritrova l’Italia) concordano con la Commissione europea un piano di risanamento tenendo in considerazione la spesa pubblica netta, sulla base dell’analisi di sostenibilità condotta da Bruxelles. Il piano avrà una durata di 4 anni ma in caso di prevalente attenzione alle riforme e agli investimenti può essere esteso a 7 anni. È’ rimasta invariata la regola automatica in favore dei Paesi che superano il 3% di deficit del rientro annuo pari allo 0,5% del Pil.
I Paesi del Nord Europa quelli che da sempre (rispetto ad Italia o Grecia) sono definiti “‘frugali’ premono per tenere il bilancio europeo al livello più basso possibile soprattutto con una disciplina di bilancio più che stretta. Germania, l’Olanda e gli altri «Frugali» temono che le conclusioni proposte dalla Commissione europea (Gentiloni.) non forniscono sufficienti garanzie che i Paesi ad alto debito pubblico effettivamente si adoperino per ridurlo e hanno chiesto l’introduzione di numerose salvaguardie: parametri quantitativi comuni.
I Paesi Ue -ancora- non potranno limitarsi a mantenere il rapporto deficit/Pil al 3%, ma dovranno garantire un cuscinetto per le situazioni di crisi: (con occhio sicuramente rivolto all’Italia) i Paesi con un debito pubblico tra il 60% e il 90% del Pil dovranno scendere al 2% mentre quelli sopra al 90% all’1,5% (è proprio il caso dell’Italia).
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