Gianfranco Ravasi, Le Parole e i giorni, pag, 355
15 Novembre:
Il Momento Finale
Il vero modo di tenersi pronti per il momento finale è quello di impiegare bene tutti gli altri momenti. Francois Fénelon (arcivescovo cattolico, teologo e pedagogo francese).
Proviamo a ritornare sul tema della morte, approfittando di questo mese che, come sappiano, la tradizioner connette alla memoria dei defunti. Lo faremo con queste parole di Francois Fénelon. La sua è una lezione facile a esprimersi, ardua a praticarsi. Eppure è l'unica strada per andare incontro a una "bella morte". Proviamo per un momento ad immaginare che sia oggi il giorno ultimo della nostra esistenza terrena e chiediamoci: "Cosa abbiamo tra le mani? Cosa abbiamo costruito? Quale lascito affidiamo agli altri?" Forse possiamo solo elencare i beni materiali e qualche scarso affetto, realtà che subito si dissolvono.
Gesù era stato lapidario: "Non accumulate tesori sulla terra che tignola e ruggine consumano e ladri scassinano e rubano, accumulatevi invece tesori in cielo" (Matteo 6,19-20). E', quindi, la serie dei momenti dell'intera vita, più che l'ultimo ad essere decisivo.. C'è uno degli Aforismi sulla saggezza di vivere del filosofo tedesco Arthur Schopenhauer che mi è sempre piaciuto: "Considera ogni giornata come se fosse una vita a sé stante". E' nel presente, colmo di opere giuste, che si edifica non solo la memoria di sé ma anche il proprio futuro spirituale. Purtroppo per molti la vita si riduce a quelle parole che il poeta Eliot aveva scritto: "Nascita e copula e morte, / tutto qui, tutto qui / e se tiri le somme è tutto qui". Bisogna, invece, ritrovare la pienezza vera dell'oggi per avere un domani di luce.
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Claude Geffre', professore di teologia all'Institut Catholique de Paris nel 1965, è stato direttore dell'Ecole Biblique di Gerusalemme dal 1996 al 1999.
L'enigma
C'è l'enigma del popolo d'Israele come popolo scelto tra tutti i popoli della terra. Da un punto di vista religioso bisogna anche parlare di mistero, il mistero della gratuità di Dio. Quando parlo dell'enigma delle religioni, è per mettere in luce la parte di irriducibilità che si trova in ognuna di esse, senza che se ne possa sempre determinare l'origine. Tutte le religioni sono certamente prodotti della cultura, del genio umano. Per le cosidette religioni storiche si può fare riferimento a un fondatore e quindi a una tradizione religiosa. In altri casi, ad esempio, per l'induismo, le cui origini si estendono per millenni, è difficile trovare un inizio assoluto, vuoi sotto forma di una scrittura, vuoi come predicazione profetica, fondatrice.
Nella mia mente la parola enigma riguarda al tempo stesso la singolarità di queste tradizioni religiose, il loro richiamarsi ad un "altrove", al cosidetto assoluto, e la loro permanenza, la loro durata. Dobbiamo constatare che le civiltà sono per lo più periture, ma, anche se il legame tra cultura e religioni è indissolubile, non ritengo si possa dire altrettanto facilmente che le religioni sono periture, che hanno un carattere effimero come le grandi civiltà.
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La storia è profondamente ambigua
Il carattere ambiguo mi sembra incontestabile, in quanto la storia religiosa dell'umanità esprime un permanente dualismo. È innegabile che le grandi religioni del mondo abbiano favorito una maggiore "umanità dell'uomo, una maggiore socievolezza e generosità, anche una maggiore efficacia contro la fatalità della natura; ma allo stesso tempo, e anche questo è un enigma, hanno attivato la violenza congenita dei loro membri. Perché? Perché la violenza in questo caso non è più espressione dell'istinto o dell'interesse immediato, ma si dà legittimazioni sacre, che vengono da altrove. Si tratta di un uso, di una strumentalizzazione del sacro -degli dei o di una rivelazione- per affermare la propria potenza rispetto ad altri.
Il segreto legame tra la violenza ed il sacro ha fatto dire a Rene' Girard che la violenza è parte integrante dell'essenza del sacro, se è vero che l'uomo, per sussistere e sopravvivere, ha bisogno di inventarsi un certo numero di meccanismi sacrificali per vincere la sua violenza originaria, primitiva. E questo, in fin dei conti, equivale, a compensare una violenza con un'altra. La rivalità, che già esiste tra animali, sarà compensata con una violenza sacrificale, una violenza ritualizzata, l'espulsione di un capro espiatorio: un mezzo, per l'uomo, di scacciare il male, di riconciliarsi con sé e con gli altri, e quindi di continuare ad esistere.
Anche se un po' unilateralmente, questa affermazione di Rene' Girard evidenzia quel meccanismo di regolazione quasi istintiva della violenza che non funziona più quando si varca la soglia dell'umano. Infatti, dal momento in cui si abbabdona la spontaneità degli istintie si fa intervenire la mediazione della cosiddetta soglia dello spirito, è necessario stabilire un certo numero di regole, di ordine culturale o religioso, senza le quali l'umanità sarebbe minacciata di autodistruzione.
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La parola e il linguaggio liberano dalla violenza
Sappiamo fin troppo bene che la peggiore delle violenze, la violenza criminale, è sempre opera della mente. Ma, per tornare all'analisi di Rene' Girard, mi sembra offuscata da un pregiudizio pessimistico rispetto allo stato naturale dell'uomo. Poiché, se è vero, che la violenza può essere un istinto fortissimo, non è meno vero che anche la convivialità è qualcosa di originario, almeno di quelli che chiamiamo esseri umani. Claude Geffré
"Quale posto può ancora occupare il
cristianesimo nella coscienza degli uomini
in quest'epoca caratterizzata dal pluralismo
culturale e religioso? "
Quindi non definirei l'origine della cultura, di quella che chiamiamo "soglia dell'umanità" - si tratti del linguaggio oppure della religione- , soltanto della necessità di combattere un'autoviolenza distruttiva per sopravvivere. Infatti anche il bisogno di comunicare, di far festa, forse il bisogno di pregare, di adorare, il bisogno di contemplare il mondo, esistono fin dalle origini. Se proviamo ad immaginare il "fondamento" umano, non può essere soltanto una costruzione, un calcolo, per evitare di ricadere nell'animalità e nella violenza primaria: ha anche il sovrappiù di essere legato alla comunicazione, alla parola, all'elemento religioso.
Ripreso da Claude Geffre' a colloquio
con Gwendoline Jarczyk "Professione Teologo", San Paolo.
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