FABRIZIO ESPOSITO, reporter
”Dopo
l’infausto berlusconismo, anche il renzismo nella sua scalata al potere ha
cavalcato l’antipolitica e la lotta ai privilegi della Casta. Giunti però al
momento della verità, il premier e i suoi fedelissimi hanno subito archiviato
la rottamazione e sono diventati essi stessi simboli della nuova Casta, a
conferma della irriformabilità del sistema dall’interno. Nel Paese reale la
crisi economica non passa mai, ma dall’altro lato, nel Paese dei Palazzi, la
ricchezza non arretra di un millimetro. Anzi. La dimostrazione è nelle
squallide cronache di questi giorni al Senato, protagonista l’ex berlusconiano
Verdini, oggi renziano. Il trasformismo parlamentare ha toccato quota 300
seggi. Un dato incredibile: un terzo di deputati e senatori ha cambiato casacca
perlopiù per mantenere prebende e poltrone e incassare favori e consulenze.
Rispetto al passato, i privilegi della Casta sono l’unica ragion d’essere della
politica. E’ il trionfo del poterismo, per citare Stalin. La gestione del
potere fine a se stessa, per rievocare l’andreottismo. I politici sono stati i
nuovi ricchi che si sono affermati in questo infinito decennio di vacche magre.
Non è qualunquismo, è la realtà.”
PAOLO MIELI, già direttore del Corriere della Sera
Non c’è soltanto Romano Prodi. Anche l’ex ministro degli
Esteri francese, fondatore di Médecins Sans Frontières, Bernard Kouchner, pur
non avendolo mai apprezzato, ha riconosciuto che, nella partita siriana, il
leader russo si è dimostrato «un grande giocatore di scacchi» e che «in questa
fase sembra avere sempre una lunghezza d’anticipo». Laddove l’altro giocatore
sarebbe il presidente degli Stati Uniti. In effetti c’è qualcosa che non torna
nella strategia anti Isis dell’Occidente. Punto primo: definiamo il Califfato
«nuovo nazismo», con ciò conferendogli - se le evocazioni storiche hanno un
senso - il rango di nemico numero uno.
A questo punto la logica imporrebbe di considerare
alleati pro tempore o in ogni caso non nemici tutti quelli che si
oppongono all’Isis. A cominciare dal despota siriano Bashar al Assad (stendendo
momentaneamente un velo sulle sue nefandezze scrupolosamente riepilogate
qualche giorno fa sul Foglio da Daniele Raineri). Quell’Assad il cui potere
adesso vacilla e che evidentemente Obama ritiene conveniente sia tolto di mezzo
per bilanciare un fattivo impegno contro le milizie di al Baghdadi. Una
bizzarria.
Come se, ai tempi dell’assedio di Stalingrado (luglio 1942-febbraio 1943) inglesi e statunitensi
avessero sotto sotto tifato per la contemporanea sconfitta del generale von
Paulus e del maresciallo Zukov. A nzi come se - in considerazione del fatto che
ancor prima dell’ascesa al potere di Hitler (30 gennaio 1933) Stalin aveva già
provocato la morte di almeno tre milioni di persone, tre le stava facendo fuori
nel genocidio ucraino, e altre sei le avrebbe sterminate nel corso degli anni
Trenta - come se, dicevamo, nell’ottobre del ‘42, allorché i tedeschi portarono
gli scontri dentro la città che prendeva il nome da Stalin, gli angloamericani
si fossero compiaciuti nel veder vacillare il potere sovietico. Invece i loro
sentimenti furono opposti. E lo furono nonostante, ripeto, considerassero il
dittatore georgiano alla stregua di un Satana e gli imputassero anche di aver
facilitato quell’aggressione nazista alla Polonia da cui aveva avuto origine la
Seconda guerra mondiale.
Certo,
americani e inglesi all’epoca erano legati da un patto d’alleanza con i sovietici, ma erano
consapevoli (quantomeno lo era Churchill) del fatto che, quando Hitler fosse
stato debellato, il confronto con il leader del comunismo mondiale sarebbe
stato assai duro. E seppero scegliere. Ebbero il coraggio di scegliere.
L’Occidente di oggi no. Lancia proclami altisonanti contro l’Isis e sostiene
milizie locali che si battono contro più di un nemico alla volta e che, fatta
eccezione per quelle curde, non appaiono in grado di ottenere grandi risultati
.
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