Quella di Marino è la tragedia di un uomo piccolo, anzi piccino, di un commerciante al dettaglio della politica. Vittima di se stesso, come hanno detto già in molti, ma soprattutto della propria mancanza di grandezza nel gesto, che paradossalmente non manca nemmeno ai pur kitschissimi Casamonica (l'epiteto di «dottor Bruno» a Vespa che li intervistava a Porta a Porta aveva i caratteri del sublime disprezzo di certi nobili di un tempo).
A Marino fa difetto la capacità di suscitare ammirazione, considerazione, nel bene come nel male. Marino non è l'allegro chirurgo in cui tanti vogliono identificarlo. È il docteur Homais di Madame Bovary, il piccolo farmacista contento di sé e dei suoi privilegi che al momento topico lascia la bottega in mano al garzone.
GAD LERNER, giornalista
Non c’è contraddizione fra la predica pubblica della sobrietà in politica e l’intensificarsi delle spese per sè a carico del contribuente: Renzi accarezza il pelo ai sentimenti dell’antipolitica rivendicando il taglio del finanziamento pubblico dei partiti (salvo introdurre rimedi furbetti in questi giorni con la legge Boccadutri), ma non può fare a meno di potenziare il finanziamento della sua leadership. Finora ha confidato che la sua credibilità metta automaticamente in secondo piano le sue spese. Non sarà sempre così. La campagna lanciata da “Il Fatto” sui conti da centinaia se non migliaia di euro al ristorante, inviati direttamente in Comune per il saldo, nuocerà a Renzi, anche se non lo insidia nel suo potere consolidato. Certo, il confronto con la sorte toccata a Ignazio Marino per ben di meno, è imbarazzante. Ma non fa che confermare la disparità di sapienza e forza messe in campo da due outsider partiti all’assalto del potere più o meno negli stessi anni. Uno ce l’ha fatta, e spende e spande. L’altro ruzzola.
Fossi in Renzi, comunque, ci starei attento. L’ha passata liscia col passaggio aereo natalizio per la famiglia in Val d’Aosta, supererà anche la “delazione” involontaria dell’oste fiorentino, ma alla lunga l’opinione pubblica gli presenterà il conto dell’incoerenza, tipica di chiunque ricorra sistematicamente ai falsi argomenti della demagogia.
GAD LERNER, giornalista
Non c’è contraddizione fra la predica pubblica della sobrietà in politica e l’intensificarsi delle spese per sè a carico del contribuente: Renzi accarezza il pelo ai sentimenti dell’antipolitica rivendicando il taglio del finanziamento pubblico dei partiti (salvo introdurre rimedi furbetti in questi giorni con la legge Boccadutri), ma non può fare a meno di potenziare il finanziamento della sua leadership. Finora ha confidato che la sua credibilità metta automaticamente in secondo piano le sue spese. Non sarà sempre così. La campagna lanciata da “Il Fatto” sui conti da centinaia se non migliaia di euro al ristorante, inviati direttamente in Comune per il saldo, nuocerà a Renzi, anche se non lo insidia nel suo potere consolidato. Certo, il confronto con la sorte toccata a Ignazio Marino per ben di meno, è imbarazzante. Ma non fa che confermare la disparità di sapienza e forza messe in campo da due outsider partiti all’assalto del potere più o meno negli stessi anni. Uno ce l’ha fatta, e spende e spande. L’altro ruzzola.
Fossi in Renzi, comunque, ci starei attento. L’ha passata liscia col passaggio aereo natalizio per la famiglia in Val d’Aosta, supererà anche la “delazione” involontaria dell’oste fiorentino, ma alla lunga l’opinione pubblica gli presenterà il conto dell’incoerenza, tipica di chiunque ricorra sistematicamente ai falsi argomenti della demagogia.
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