Sterco del diavolo in Germania
La chiesa "povera per i poveri" di Francesco
si scontra con bilanci record delle diocesi tedesche. L'altro scisma è fatto di
miliardi di euro tra fondi, azioni e palazzi barocchi. Ufficialmente sub Petro, in pratica autonome
DI MATTEO MATZUZZI Roma.
Lo
scorso inverno la grande diocesi di Colonia, in Germania, ha pubblicato per la
prima volta i suoi bilanci. Patrimonio equivalente a più di tre miliardi di
euro, attività finanziarie (s'intende l'insieme di obbligazioni a tasso fisso,
fondi immobiliari e azionari) pari a circa due miliardi. Riguardo al 2013, poi,
era documentato pure un surplus di 59 milioni dovuto al buon andamento della
Kirchensteuer, la tassa sulla chiesa che obbliga tutti i battezzati a vedersi
tolto dalla busta paga il nove per cento sull'imponibile del corrispettivo
tedesco della nostra Irpef. Mensilmente. E più sono i ribelli che decidono di
firmare l'atto di rinuncia a essere cristiani (così da non dover pagare la
tassa), meno sono i soldi che entrano nelle casse della conferenza episcopale
che, per fermare l'emorragia, chiede di allentare vincoli e norme, sperando in
tal modo di conquistare nuove masse di fedeli. Non a caso, qualche giorno fa,
il presidente del potente comitato dei cattolici tedeschi, Alois Glück,
auspicava che il Sinodo - che secondo i piani di Benedetto XVI avrebbe
originariamente dovuto occuparsi di questione antropologica e bioetica, ha
spiegato in un'intervista alla Civiltà Cattolica il cardinale Christoph
Schönbom - possa concedere a ogni regione di dotarsi di "una propria
pastorale". E' il vecchio tarlo della chiesa a nord delle Alpi: sub Petro,
ma indipendenti a casa propria, che poi è il concetto illustrato dal cardinale
Reinhard Marx pochi mesi orsono, quando disse "non siamo una filiale di
Roma".
Lo Spiegel,
davanti ai grafici e alle tabelle trasudanti euro di Colonia, lanciava il
deferente appello: "Almeno redistribuiscano gli utili a chi ne ha
veramente bisogno". Soprattutto nei tempi e nella chiesa di Papa Francesco
che, appena eletto, salutando e ringraziando i giornalisti affluiti a Roma per
il Conclave, diceva: "Ah come vorrei una chiesa povera per i poveri".
Povera la chiesa di Germania non lo è. "Vai a Stoccarda, guardi il palazzo
della Caritas e non lo distingui da quello della Mercedes", dice al Foglio
chi ha una certa dimestichezza con gli affari della chiesa tedesca. "Ma
davvero deve avere tutte queste società immobiliari, una delle quali è
localizzata in Olanda?", continuava lo Spiegel a proposito di Colonia.
"Davvero deve avere attività finanziarie per più di due miliardi di euro?
Ha bisogno di un miliardo e mezzo di euro depositati nelle riserve per
eventuali futuri reclami?". A quanto pare sì. Tempo fa l'allora vescovo di
Limburg (poi rimosso e chiamato a Roma), Franz-Peter Tebartz-van Eist, nel
tritacarne mediático dopo che aveva speso 31 milioni di euro per rifare il
centro diocesano e i suoi appartamenti privati, decisamente lontani dalla
fatiscente casupola in cui viveva il santo curato d'Ars, certo, che si prese
una nevralgia facciale a forza di dormire sul pavimento umido. Ma sulle spese
della grande diocesi di Monaco e Frisinga, retta dal cardinale Marx, nominato
in Vaticano coordinatore del neonato consiglio per l'Economia chiamato a
traghettare la santa chiesa nell'era della trasparenza e della povertà, in
pochi sono andati a mettere il naso. Avrebbero scoperto, oltre a "Casa
Santa Maria" - la residenza distaccata diocesana a Roma, in viale delle
Medaglie d'Oro, non particolarmente gradita al presule - la bellezza del palazzo
barocco arcivescovile ristrutturato alla modica cifra di otto milioni di euro,
e magari si sarebbero domandati anche come mai per un centro servizi
multifunzionale cittadino la diocesi aveva speso 130 milioni di euro. Il
portavoce, pressato dai media, spiegava che non erano mica soldi spesi per
Marx, ma solo per la chiesa locale. Anche perché all'arcivescovo il Land versa
regolarmente 12 mila euro mensili, lo stipendio di un sottosegretario di stato
bavarese. Lo stipendio per i "preti semplici" è inferiore,
naturalmente, ma sufficiente per aver alimentato negli anni Ottanta le
cosiddette "vocazioni per ragioni finanziarie". Si entrava in
seminario perché poi, a ordinazione sacerdotale avvenuta, si aveva la certezza
di poter contare su un reddito garantito non indifferente. Tentativi per
cancellare la Kirchensteuer ne sono stati fatti tanti, nel corso degli anni.
Tutti finiti nel nulla. "Liberarsi dal fardello materiale e politico"
Benedetto XVI, nel suo ultimo viaggio in Germania, nel 2011, aveva chiesto una
conversione: "In Germania la chiesa è organizzata in modo ottimo. Ma,
dietro le strutture, vi si trova anche la relativa forza spirituale, la forza
della fede nel Dio vivente? Sinceramente dobbiamo però dire che c'è un'eccedenza
delle strutture rispetto allo Spirito", aveva sottolineato nel discorso al
Consiglio del comitato centrale dei cattolici tedeschi. Ma le parole più dure,
nonostante abbiano avuto minore enfasi al di fuori della Germania, furono
quelle pronunciate a Friburgo, al termine della sua visita in patria: "Gli
esempi storici mostrano che la testimonianza missionaria di una chiesa
demondanizzata emerge in modo più chiaro. Liberata dal suo fardello materiale e
politico, la chiesa può dedicarsi meglio e in modo veramente cristiano al mondo
intero, può essere veramente aperta al mondo". Il Papa, allora, pronunciò
un neologismo del teologo evangelico Rudolf Bultmann: Entweltlichung, tradotto
in italiano come "demondanizzazione", benché il suo significato sia
più ampio. A Friburgo, i vescovi presenti si guardarono l'un l'altro, intuendo
subito dove Ratzinger stava andando a parare. Il presidente della conferenza
episcopale, mons. Robert Zollitsch, chiarì subito dopo in conferenza stampa che
"il Papa, parlando di entweltlichung, non voleva certo riferirsi
all'abolizione della tassa statale", tema che non era all'ordine del
giorno. Ma Benedetto XVI, quella parola, l'aveva pronunciata per ben tré volte
nel discorso, e il cardinale svizzero Kurk Koch, presidente del Pontificio
consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani assicurò che il Pontefice
intendeva parlare proprio della Kirchensteuer.
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