14 Settembre
Il 14 settembre di diciassette anni fà veniva pubblicata l'enciclica "Fides et ratio" di Giovanni Paolo II dove si sostiene che Fede e Ragione non si escludono ma si completano.
Per capire la portata di quanto sostenuto nell’enciclica è utile la lettura del libro “Scambiarsi la veste – Stato e Chiesa al governo dell’uomo” di Gustavo Zagrebelsky, dal quale sono tratti i brani dal cap. 11 “La coincidenza di ragione e verità cristiano-cattolica”.
Certo, il rapporto tra fede e ragione di cui parla l’enciclica, non tiene molto in considerazione il metodo scientifico, attraverso il quale la possibilità di confutare una tesi, sottometterla a giudizio comune e quindi decidere se essa è giusta o sbagliata è passata appunto, dopo il medioevo, dalla fides, accettazione di un ordine divino, alla ratio, capacità della mente umana di indagare i principi ultimi della realtà.
”… La pretesa di pronunciare parole valide per tutti si è, se possibile, rafforzata, perché soprattutto a partire dalla seconda parte del pontificato di Giovanni Paolo II, il magistero della Chiesa è venuto sempre più strettamente incardinandosi sul binomio verità-ragione, un binomio che ha ormai messo in ombra il binomio verità-fede. Si tratta di questo: mentre in passato si parlava delle verità proposte dalla religione cattolica nei termini di un’adesione di fede, dunque si parlava di verità accessibili solo attraverso una capacità (la fede) che è degli eletti e non di tutti, oggi se ne parla nei termini di conoscenza razionale, che deve essere di tutti, eletti e non eletti, in quanto esseri dotati di ragione. Si comprende la portata dello spostamento dalla fede alla ragione: la verità di fede non può essere riconosciuta da chi, per l’appunto, non ne è illuminato … la verità di ragione non può invece ammettere limiti o eccezioni. In questo modo, più o meno coscientemente, si crede di “uscire dalla morsa del pensiero laico” che, dell’esame di ragione fa il suo unico test di validità …
Tramite la fusione della verità (cattolica) con la ragione (umana) e della ragione con la verità, la parola della Chiesa è, per così dire, proiettata in una dimensione di assolutezza e universalità che non ammette limiti, contraddizioni, relativizzazioni. Rispetto alla tradizione, non c’è in questa proposizione nulla di nuovo. Ma nuova è l’insistenza su un principio che, se non nega necessariamente la presenza di “frammenti di verità” in altre concezioni religiose, rivendica in favore di quella cattolica la pienezza della verità medesima che, così concepita, non ha da apprendere dalle altre, né tantomeno da altre visioni del mondo “che fanno a meno di Dio” …
Il rapporto con il mondo di una simile auto-rappresentazione della Chiesa difficilmente può concepirsi in termini amichevoli: si tratta di essere conquistati o di conquistare, come parte combattente contro altre parti ostili. E’ la riproposizione in forma intellettualistica, del tradizionale principio: “extra Ecclesiam nulla salus” (fuori dalla chiesa non c’è salvezza), con tutta la sua portata d’intolleranza e la naturale tendenza della religione a farsi religione di Stato. Che cosa possa essere ancora il “dialogo” che stava al centro dell’apertura al mondo del Concilio Vaticano II e che consentiva al cattolicesimo di esprimersi in una dinamica universalistica, è facile vedersi. Questo “dialogo” può essere solo un approccio all’altro in vista della sua conversione o assimilazione, cioè della sua eliminazione in quanto “altro” …”
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