Sarebbe ora di sbugiardare la mistificazione con cui si produce da anni quell’egemonia culturale che, attraverso i media, ha ormai influenzato buona parte della coscienza comune.
Non è affatto vero che la torta della ricchezza complessiva aumenta se aumentano le iniquità e se diminuisce lo stato sociale.
Secondo il World Economic Forum
Sui trenta Paesi più sviluppati del mondo, l’Italia è ventiduesima per protezione sociale, nella stessa posizione per disparità (indice di Gini post imposte), penultima per efficacia della politica nella lotta alla povertà, ultima per accesso scolastico alla Rete, penultima per accesso dei cittadini al sistema finanziario e terz’ultima per qualità dell’istruzione.
«Il sistema di protezione sociale italiano», chiosa il report dopo i numeri, «non è né particolarmente generoso né efficiente, il che aumenta il senso di precarietà e di esclusione nel paese».
E anche: «L’alta disoccupazione è accompagnata da un gran numero di lavoratori part-time che non vorrebbero essere tali, oltre a quelli costretti a lavorare in condizioni informali e vulnerabili» (immagino che “condizioni informali” significhi lavoro nero).
Ancora: «La partecipazione delle donne nel mondo del lavoro è estremamente bassa, peggiorata da un divario retributivo di genere che è uno dei più grandi tra le economie avanzate».
Non si tratta, nel caso, di attaccare il governo Renzi
si tratta invece di polverizzare la narrazione farlocca secondo cui a mettere i freni all’economia italiana sono “i lacci e laccioli” dello stato sociale, che è invece (appunto) tra i peggiori del capitalismo avanzato.
Lo stesso report, fra l’altro, contiene una classifica in cui l’Italia invece è ai primi posti, che è quella sulla corruzione: la prima cosa di cui ti parlano gli imprenditori stranieri quando gli si chiede di investire nel nostro Paese.
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