In fondo in fondo, noi umani abbiamo sempre pensato di essere al centro dell’universo. Nella visione di Tolomeo, tutto il cosmo ruotava intorno alla Terra con i corpi celesti ordinati in una sequenza di sfere concentriche che ospitavano la Luna, il Sole i pianeti allora conosciuti (solo quelli visibili ad occhio nudo) e, per ultima, la sfera delle stelle fisse. Copernico scardinò il sistema dimostrando che erano la Terra e gli altri pianeti a girare intorno al Sole. Giordano Bruno cercò di assestare un altro colpo all’antropocentrismo sostenendo l’esistenza di innumerevoli altri soli con i loro pianeti, ma le sue erano argomentazioni filosofiche che sono finite, letteralmente, in fumo. Man mano che i telescopi allargavano gli orizzonti delle conoscenze astronomiche abbiamo sempre inciampato nel preconcetto antico di essere al centro dell’universo. Ci sono voluti secoli di risultati, spesso controversi, per convincerci che il Sole è una normalissima stellina in una zona piuttosto periferica della nostra Via Lattea. Al Sole restava solo una peculiarità: i suoi pianeti, così diversi tra loro ma bene ordinati, quelli rocciosi vicino alla stella, quelli gassosi lontano.
Il 6 ottobre 1995 anche l’ultimo brandello di antropocentrismo è stato distrutto dall’annuncio della scoperta di un pianeta in orbita intorno alla stella 51 della costellazione del cavallo alato (Pegaso). Di colpo il sistema solare non era più unico. Inoltre, il nuovo venuto era un pianeta molto massiccio, simile a Giove, ma con un’orbita di appena 4 giorni, quindi vicinissimo alla sua stella e molto caldo. Gli scopritori svizzeri avevano battuto di pochissimo un gruppo americano che dopo qualche giorno ha annunciato la propria scoperta di un altro sistema planetario. I pianeti extrasolari sono entrati prepotentemente nel panorama astronomico, cambiando le priorità della ricerca e mandando in pensione molte idee comunemente accettate circa la formazione di sistemi planetari. In vent’anni le tecniche osservative si sono affinate e il numero di pianeti è cresciuto, prima in modo tranquillo, poi sempre più accelerato, fino a diventare esplosivo. Gli ultimi conteggi ci dicono che siamo prossimi a toccare quota 2000 pianeti in circa 1500 sistemi planetari. Alla luce di questi numeri, è possibile concludere che, per le stelle della nostra galassia, avere pianeti è la regola, non l’eccezione. Col tempo siamo diventati capaci di rivelare pianeti sempre più piccoli, di dimensioni non troppo diverse dalla nostra Terra e, inevitabilmente, è scattata la caccia alla Terra 2.0. Oltre ad avere le dimensioni giuste, in modo da essere presumibilmente roccioso e poter trattenere una ragionevole atmosfera, il pianeta che cerchiamo deve anche trovarsi nella zona di abitabilità della sua stella, non troppo vicino per evitare di andare arrosto, come succede a Venere, e non troppo lontano per evitare di congelare, come succede a Marte. La zona di abitabilità dovrebbe garantire la possibilità di avere acqua liquida in superficie. Per cercare i candidati più promettenti, viene calcolato l’indice di somiglianza alla Terra, un parametro che è 1 per la Terra e 0,7 per Marte. Attualmente ci sono 31 pianeti con il valore dell’indice superiore a quello di Marte. Ovviamente, abitabile non significa abitato. Per poter dire qualcosa di più dovremmo poter studiare la composizione dell’atmosfera e poter dire se è presente l’ossigeno, un gas che è la firma della presenza di organismi viventi. Infatti, si tratta di un elemento molto reattivo che può esistere allo stato libero solo se continuamente prodotto. Con i telescopi attuali non siamo ancora in grado di rispondere a questa domanda. È una delle sfide che aspettano di essere vinte, ma sappiamo che ci riusciremo nel corso dei prossimi vent’anni.”"
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