Verso il multiculturalismo?
Stanno arrivando in Europa migliaia di afhgani e tante altre migliaia di medio orientali sono già in Europa e continueranno ad arrivare. Ogni giorno centinaia, forse migliaia, di profughi arrivano sulle coste siciliane su barconi, si tratta di appartenenti a popolazioni subsaariane. Tutti esseri umani, tutti meritevoli di rispetto e di dignità. Tanti stanno muovendosi con gli stessi sentimenti e spinte umane delle migliaia e migliaia di contessioti che dal secondo decennio dell'Ottocento lasciarono la Sicilia con destinazione Louisiania e New Orleans in particolare; qualche centinaio invece fu condotto nelle coste brasiliane (su questo gruppo riporteremo alcune pagine sul blog, anche qualche cenno in passato lo abbiamo fatto).
Prescindiamo su questa pagina dalle scenegiate di Salvini, che puntano a scavare nelle parti di coscienza peggiore dell'animo umano eccitando -speriamo suo malgrado- odio, paure e cattiveria nei confronti di esseri umani, tali e quali come noi e purtroppo più sfortunati di noi.
Multiculturalismo è un termine entrato nel linguaggio comune da un paio di decenni e indica una società dove più culture, anche molto differenti, convivono rispettandosi reciprocamente fra loro.
L’intensificarsi della globalizzazione (turismo, capitalismo senza frontiere ed immigrazioni) sta mettendo in quasi netta evidenza che i diversi gruppi etnici, e le minoranze etniche che sorgono all'interno dei paesi di immigrazione, Italia compresa, pur coesistendo quasi fianco a fianco, conservino ognuno le proprie peculiarità, mantenendo il loro diritto ad esistere senza omologarsi a una cultura predominante. Questa esperienza che si coglie ormai ovunque nella nostra Europa inevitabilmente ci fa ricordare come gli "arbëresh" sono stati antesignani: hanno conservato nel Sud Italia da cinque secoli dall'arrivo dalle sponde balcaniche lingua, rituaslità religiosa e almeno fino a non molto tempo fa l'orgoglio di una appartenenza etnica differente da quella maggioritaria.
Ci sono tuttavia studiosi -e pure operatori sociali- che tuttavia sottolineno aspetti critici di questo modo di intendere l’integrazione, e concludono che esso avrebbe l’effetto paradossale di non promuovere la loro partecipazione alla società e alla cultura nazionale e transnazionale. A dire il vero nel mondo arbëreshe questa sensazione non si coglie se un Francesco Crispi è divenuto Presidente del Consiglio e tantissimi intellettuali di primo piano della scena nazionale hanno tratto origine dalle comunità "arbëresh".
La soluzione multiculturale al problema della convivenza più "ampia" sta nel permettere a ogni singola cultura di esprimersi all’interno dei limiti che sono determinati dalla cultura stessa, per i quali ciascuna è, e dovrebbe essere assoluta, nel senso di ab-soluta, cioè sciolta dall’onere di relazionarsi-integrarsi con le altre.
La politica adottata in Francia rispetto alle varie centinaie di comunità estere che lì si ritrovano è che: le culture possono vivere nell’ambito del privato familiare o dei gruppi ristretti comunitari, dal momento che la laicité non consente alcuna forma di visibilità a segni e simboli che esprimono diversità fra una cultura e una religione. Esempio tipico è la legge 228 del 2004, la “legge sul velo”.
Secondo i suoi critici, il multiculturalismo rischierebbe di creare frammentazione sociale, separatezza delle minoranze, una forma di relativismo culturale acritico e asettico. Come ideologia e dottrina politica, esso si basa su un immaginario collettivo (tutti differenti, tutti uguali) secondo il quale ogni cultura deve essere considerata pari a ogni altra. In linea con tale impostazione, nei Paesi anglosassoni alcuni reati contro la persona vengono ormai depenalizzati o trattati con esenzioni di pena, o altre “condanne esimenti”, perché́ commessi in base a consuetudini di culture particolari che giustificano quei comportamenti.
L'argomento ci sembra interessante, pertanto sulla scorta di alcuni testi di sociologia che stiamo consultando proseguiremo sul Blog la riflessione, periodicamente.
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