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giovedì 12 agosto 2021

La moneta e il controllo sociale.

Che mondo era quello del Cinquecento
Il periodo di insediamento degli arbëresh

La moneta di conto in uso in Sicilia nel Cinquecento era l'Onza  che si componeva di 30 tarì; un tarì corrispondeva a 20 grani, un grano a 6 piccoli o denari.

(Come non è difficile intuire, un tale sistema monetario era riflesso di un assetto sociale povero, per non dire poverissimo. Nella sfera dei baroni e dei "civili", che a carico di quel mondo contadino vivevano in condizioni di parecchio più prospere, circolavano invece le  monete di conto ufficiali in Spagna: 
Lo Scudo d'argento di 12 tarì oppure il Fiorino di 6 tarì, oppure ancora il Carlino di 10 grani e pure il Ducato equivalente a 13 tarì.

La moneta
La moneta assumeva in quel XVI secolo diversi significati: anzitutto era una merce, un metallo più o meno pregiato, che poteva svolgere la funzione di riserva (tesoreggiamento); un mezzo di scambio e di pagamento, come s’incontrava nelle transazioni quotidiane; e infine un’unità di misura, impiegata nella contabilità. 
Nell’arco di tempo che va da Carlo Magno (Medio Evo)  a Napoleone (inizio della Contemporaneità)  il sistema monetario presentava due tipi di moneta: la moneta reale, in metallo più o meno pregiato, e la moneta ideale, impiegata come unità di conto. 
Questa situazione comportava complessi meccanismi e reciproche influenze che, come avremo modo di capire quando affronteremo il sistema feudale contessioto, offrivano ampi spazi a speculazioni. E comunque la moneta  la si faceva circolare il meno possibile nelle campagne, dove tutto veniva regolato con scambi di galline, uova e agnellini. O con discrete misure di grano.

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