Nei vari stati arabi dal secondo dopoguerra si sono
verificate situazioni differenziate
Iraq
In Iraq la situazione delle comunità cristiane nei decenni precedenti alle due guerre del Golfo, quelle volute dai due Bush, presentava tratti di maggiore complessità e difficoltà rispetto alla situazione che abbiamo tratteggiato la volta scorsa sulla Siria, dovuti sia alla situazione interna sia ai difficili rapporti internazionali che gravavano sul paese.
In Iraq la situazione delle comunità cristiane nei decenni precedenti alle due guerre del Golfo, quelle volute dai due Bush, presentava tratti di maggiore complessità e difficoltà rispetto alla situazione che abbiamo tratteggiato la volta scorsa sulla Siria, dovuti sia alla situazione interna sia ai difficili rapporti internazionali che gravavano sul paese.
Dal punto di vista interno le varie confessioni
religiose erano strettamente controllate, nel timore che dessero origine a
fenomeni di dissenso verso il regime guidato con mano ferma e pesante dal
presidente Sadam.
Le offensive del governo erano dirette soprattutto
verso la componente sciita cui appartiene tuttora più della metà della
popolazione irachena. Anche in Iraq gli sciiti hanno avuto forti propensioni a
seguire l’ideologia politica degli sciiti iraniani, che nel 1979 hanno
proclamato la Repubblica Islamica: di fronte a quest’eventualità il governo a
partire dal 1976 ha statalizzato l’organizzazione sciita sopprimendo
l’autonomia di gestione dei beni religiosi e trasformando gli imàm in
funzionari dello stato, stipendiati e controllati. Nello stesso contesto il
governo ha operato per rafforzare la propria posizione cercando il consenso dei
musulmani sunniti e dei cristiani, che in Iraq erano circa il 3,2 per
cento della popolazione.
Lo stesso statuto delle comunità cristiane è
stato però in pericolo nel 1981, quando un progetto di legge, poi sospeso,
voleva estendere anche alle chiese cristiane la statalizzazione. In questo
difficile contesto politico e sociale i cristiani iracheni si trovarono in una
situazione ambivalente: dal punto di vista economico la comunità cristiana era
nell’insieme prospera, anche se ai nostri giorni deve affrontare le difficoltà
economiche proprie a tutto l’Iraq a causa della grave insicurezza nel
territorio ove -come sappiamo- opera l'ISIS; dal punto di vista politico, nonostante qualche
eccezione, ha invece un ruolo marginale se non irrisorio essendo stata ridotta
numericamente a causa della forte emigrazione.
-In tutti gli organi del partito Ba‘th al potere i
cristiani erano -sotto Sadam- quasi assenti e nell’Assemblea Nazionale vi erano solo quattro
cristiani su duecentocinquanta deputati, con una percentuale di molto inferiore
a quella demografica.
A differenza che in Siria l’ideologia
politica Ba‘th (laicità dello Stato) non svolse un ruolo così efficace nel
favorire la coesione di cristiani e musulmani in un’ottica nazionale. In
effetti la marginalità politica dei cristiani in Iraq può essere compresa in
base a due ordini di motivi: in primo luogo, nonostante l’ideologia laica, il
partito Ba‘th iracheno riconosceva nell’islam, che in
Iraq (al contrario che in Siria) era religione di stato, una componente essenziale della cultura
araba, mentre lo stesso statuto non era riconosciuto al cristianesimo.
Si consideri inoltre che in Iraq, come in molti
altri paesi arabi, la gestione del potere avveniva ed avviene
tuttora sulla base di alleanze familiari in cui i musulmani sunniti hanno
un ruolo prevalente, specie in una ottica anti-sciita.
Sembra d’altra parte che gli
stessi cristiani non erano propensi a un impegno politico deciso in quel quadro, e tendavano essi stessi a scegliere la marginalità: da un lato infatti non era allora possibile esercitare alcun
dissenso contro il governo al potere e dall’altra restava forte il timore che
potesse avere successo l’opposizione sciita, che, in alcune sue
componenti, mirava ad instaurare un governo di ispirazione islamica.
Nessun commento:
Posta un commento