In Municipio è arrivato, dopo il primo Commissario che
ha chiuso poche decine di giorni fa il Consuntivo 2014, pure il secondo Commissario che
dovrà curare il varo del Bilancio di Previsione 2015, che –ormai- alla fine
dell’anno sarà, di fatto, un Consuntivo.
In paese continua a non tirare una buona aria per
quanto riguarda le casse comunali; gli impiegati comunali continuano a non
ricevere lo stipendio e per adesso sono a credito di quattro mensilità.
Una situazione tutt'altro che rosea, quindi.
Eppure finora gli Amministratori piuttosto che analizzare la situazione del lor Ente hanno puntato ad evidenziare che i Comuni in difficoltà
finanziaria sono tanti in Sicilia.
Cosa in verità verissima.
Certo che se qualcuno però studiasse il quadro
finanziari del nostro Ente non potrebbe che pensare a mosse dolorose per
evitare il dissesto finanziario.
Sempre che lo si voglia evitare.
L'accertamento straordinario dei residui a chiusura del Consuntivo 2014 ha appurato un disavanzo più vicino ai 100 mila euro che ai 90 mila e per ammortizzarlo l'Amministrazione si è avvalsa della possibilità di indebitarsi con la Cassa Depositi e Prestiti, da saldare in trenta anni.
La situazione socio-economica in paese è difficile per molti cittadini, i quali hanno visto lievitare la tariffa del
canone idrico, il parziale oscuramento di punti luce e la mancanza degli
interventi manutentivi.
La situazione del Comune di Contessa Entellina potrebbe
sembrare simile a quella di molti altri Enti. Lo giustificano il taglio dei
trasferimenti da Stato e Regione ed influisce in particolare -a tenere fermi i
trasferimenti regionali- il Patto di stabilità.
A queste difficoltà si aggiunge –qui a Contessa
Entellina- la situazione di crisi economica generale di gran parte delle
famiglie che si ripercuote sul pagamento dei tributi e le tariffe locali.
Chiaramente, questo è un Comune che è stato bene per tanto tempo nei primi decenni post-terremoto grazie alle provvidenze per la Ricostruzione e ora soffre l’improvviso ritorno della povertà.
Chiaramente, questo è un Comune che è stato bene per tanto tempo nei primi decenni post-terremoto grazie alle provvidenze per la Ricostruzione e ora soffre l’improvviso ritorno della povertà.
Per quanto riguarda gli stipendi ai dipendenti comunali
forse nel mese di dicembre si farà di
tutto per garantire almeno un mese di arretrati, ma non manca chi fra i
dipendenti dubiti dal momento che il Patto di stabilità e l’indebitamento di
Tesoreria additano le “partiture” da leggere e da rispettare.
La Giunta Municipale ha deliberato due
giorni fa di attingere all’indebitamento di tesoreria, quanto meno per pagare la
mensilità di agosto.
La situazione è pesante per quanto riguarda i precari,
per i quali da tempo alcuni funzionari immaginano
una riduzione delle ore di lavoro.
Attualmente si ha a che fare con due
tipologie di dipendenti con contratto a tempo determinato: ci sono quelli
pagati con un contributo dell'80% della Regione e quelli che ricevono una piccola
quota dalla Regione e gravano quasi del tutto sul bilancio comunale.
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P.S. - Ad aggravare il quadro: Una esposizione più generale e più tecnica, per chi vuole capire il contesto.
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Nel silenzio generale sta per arrivare una rivoluzione
dei conti che pende come spada di Damocle sui bilanci e di Mamma Regione e dei
Municipi dell'isola.
Scatterà il primo gennaio dell’anno nuovo e imporrà,
all’una e agli altri, l’attuazione integrale del decreto legislativo 118 del
2011 che reca nuove norme in materia di contabilità pubblica.
Per la prima volta tutte le pubbliche amministrazioni,
con l’anno nuovo, dovranno adottare le stesse regole contabili. Saranno
costrette a comportarsi alla maniera delle aziende private. Tra l’altro,
elaborando bilanci consolidati che dovranno riunire assieme, in un unico
aggregato, i conti dell’ente pubblico e delle sue eventuali Partecipate.
Come dire che dovranno, ad esempio, essere compilati insieme i conti di Comuni
e Ato rifiuti.
E se si pensa che il solo sistema degli Ato, non
ancora superato dalle Srr, in Sicilia cumula debiti per quasi due miliardi, il
rischio dell’implosione è qualcosa più di una mera ipotesi di scuola. Anche
perché sempre il decreto del 2011 sperimentato finora da pochi enti ma che
entrerà in vigore per tutti nel 2016, impone l’obbligo del bilancio annuale e
triennale.
Meglio: stabilisce che, d’ora in avanti, enti pubblici
e società partecipate potranno spendere, annualmente, solo se in cassa ci sarà
denaro certo. Ancora, che dovranno inserire la gestione annuale per cassa nell’ambito
della programmazione triennale per competenza. Così la previsione politica
dovrà essere basata, “finalmente”, sulla certezza delle entrate e delle spese.
Insomma, c’è in arrivo una rivoluzione
tecnica, culturale e politica che fa a pugni con il malcostume di governo della
cosa pubblica secondo cui, per esempio, enti locali in rosso tagliano la spesa
per minori, anziani e soggetti deboli ma spendono montagne di soldi ricorrendo
all’artifizio contabile dei cosiddetti debiti fuori bilancio.
Sono costi non giustificati dai documenti
contabili e dalla dubbia ricaduta in termini di interesse pubblico, che spesso
nascondono un vero e proprio danno erariale. Ma con le nuove norme il malvezzo
non dovrebbe più essere consentito.
La preoccupazione dei cittadini è che, in
assenza di svolte di governo sul piano della politica di bilancio e non solo,
enti locali e Regione finiscano con l’essere travolti dal dissesto. E che il
collasso del sistema si traduca nell’azzeramento della spesa sociale e per
iniziative di sviluppo, rendendo più problematico di quanto lo sia adesso il
pagamento di stipendi e fornitori.
C’è inoltre l’allarme che riguarda,
specificamente, il fronte regionale e l’inquietante indolenza del governo della
Regione in tema di legge di stabilità in discussione in questi giorni al
Parlamento, a Roma. Prevede il ddl di stabilità che per le sole Regioni a
statuto speciale, eccetto la Sardegna ma compresa la Sicilia, l’obbligo del
pareggio di bilancio slitti al 2018. Vincolando però il rinvio all’osservanza
del patto Regione-Stato sottoscritto nel giugno 2014. Quell’accordo impegnò la
Regione a rinunciare a ogni contenzioso con il governo nazionale fino al 2017
in cambio dell’allentamento del patto di stabilità per 500 milioni. Ma in gioco
-si fa osservare da più parti- ci sono svariati miliardi che affondano le
radici nell’inosservanza nazionale delle norme dello Statuto. Risorse prodotte,
tra l’altro, dal gettito di tributi legati ad attività d’impresa condotte in
Sicilia da aziende con sede legale altrove.
Il governatore, allora, rinunciò a ogni
pretesa in cambio dell’allentamento. Adesso stupisce il silenzio di Palazzo
d’Orleans che dovrebbe invece cogliere la palla al balzo per ridiscutere
quell’intesa che, sullo sfondo del rischio dissesto, pesa ancora più come
ipoteca sul presente e sul futuro della Sicilia.
Per Amenta (Anci Sicilia): “La situazione
dei Comuni è un disastro”, “Abbiamo calcolato un buco di 80 milioni che si
produrrà per effetto della nuova normativa”.
I Comuni subiscono un’evasione fiscale del
50%. Il decreto legislativo 118 impone la costituzione di un fondo di garanzia
pari al 36% di quel 50% e il riaccertamento dei residui che, se esigibili, dovranno essere spalmati in trent’anni.
Ma “è un dramma, la situazione è al
collasso”.
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