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martedì 16 gennaio 2024

Vita locale (16)

Artaru di San Giuseppe, la Vara della Madonna della Favara, 

il canto di Lazaro, e …l’arbereshe

 Esistono storie di eventi, rappresentazioni e modi del vivere locale di cui ciascuno di noi fatica a conoscere l’inizio. Storie le cui origine sembrano essersi dissolte e che ancora oggi lasciano traccia nel vivere il nostro presente. Sono storie e realtà che ci sono state trasmesse  all’insegna del senso di appartenenza, di generazione in generazione, di mano in mano, di voce in voce, all’interno della nostra piccola comunità di persone. È questo che in fondo accomuna tutte le tradizioni e le pratiche annoverate come «patrimoni culturali immateriali» dall’Unesco, l’agenzia delle Nazioni Unite fondata nel 1945 per promuovere l’amicizia fra i popoli  attraverso istruzione, scienza e cultura. 

Quanti di noi, nativi di Contessa E., vivono o  hanno vissuto anche solo per qualche ora o giorno, in luoghi considerati tra i più belli al mondo?  L’Italia è il Paese che conta il maggior numero di siti (a oggi 58 in tutto) riconosciuti «patrimonio dell’umanità». Forse è per questo motivo che l’idea di un luogo come «patrimonio» (che sia il centro storico di città come Roma, Siena o Napoli, un’area archeologica come Pompei o Agrigento, una bellezza naturale come il vulcano Etna etc.) ci è più familiare di quanto lo sia invece il concetto di «patrimonio culturale immateriale». Eppure, le feste ed i rituali bizantini, le tradizioni orali, il linguaggio arbereshe, le arti dello spettacolo, i saperi artigianali e le pratiche quotidiane sono da molti anni oggetto di attenzione da parte dell’Unesco. 

 Su questi temi, che localmente non cogliamo  nella loro significativa portata culturale, proveremo su ulteriori pagine del blog a riflettere.

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