Anni: 45
Il senso della vita
Secondo Kierkegaard ci sono tre
fasi nella vita. La prima è quando
cerchiamo nuovi piaceri e sperimentiamo
nuove strade. Può essere il sesso,
la droga, ma anche semplicemente dei viaggi.
È la fase estetica.
La seconda è quando non ci basta più,
quando la fase «consumistica» si risolve
con la domanda: è tutto qui?
E allora cerchiamo di entrare nella «macchina»
della vita, nei suoi ingranaggi. Il filosofo
la chiama la fase etica: ci si innamora,
si sperimentano rapporti di coppia, ci si
sposa, si fa carriera. Anche questa fase,
a volte, si esaurisce.
E allora si passa alla
terza fase, quella «religiosa». Si cerca,
cioè, un nuovo senso alla vita, che trascende
la nostra quotidianità. Si associa la propria
vita alla causa o a un senso più profondo che
va oltre noi stessi. A volte è la religione,
a volte la meditazione e comunque
qualcosa che ha a che fare con la spiritualità.
Queste tre fasi si possono applicare a fasi
cronologiche della vita delle persone ma
anche ad attività.
Prendiamo la lettura. Si può leggere per diletto,
per cercare qualcosa di interessante e piacevole.
Ma dalla fase estetica si può passare a quella
etica, se si usa la lettura per imparare e crescere.
Se poi leggi per capire il senso della vita, sei
nella fase religiosa.
sostiene Arthur C. Brooks, è proprio questa:
la possibilità di evadere dalla noia con nuovi
approcci, che ci consentano di vivere
pienamente. Si può vivere pienamente
senza conoscere gli Houthi? Certamente sì.
Si può vivere pienamente pescando salmoni?
Ovviamente sì. Puoi concentrarti sulla carriera,
perfezionare certe tue attitudini o talenti, o
anche solo trasformare attività ripetitive e
apparentemente noiose in meditazioni
trascendentali illuminanti. Non c’è una scala
di valori tra le varie fasi. La vita è
sostanzialmente inutile, per chi non
ha un approccio religioso. Spenderla
spaccando legna tutta la vita, o leggendo
Kierkegaard o diventando un campione di
come un fenomeno collettivo, un’esperienza
che facciamo insieme agli altri.
Allora
scopriamo che ci sono altre dimensioni.
Che siamo immersi in un flusso temporale
e in un universo popolato da altre persone.
Pannella amava ripetere una frase enigmatica,
modificandone una di Bergson:
«La durata è la forma delle cose».
La felicità può essere istantanea?
Oppure è una finzione, un piacere superficiale
che solo nella durata assume una forma piena,
percepibile?
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