Politica e teologia cominciarono ad intrecciarsi nella decisione dell’imperatore bizantino Leone III Isaurico, nel 730, intesa a rimuovere e distruggere le immagini sacre sulla base del comandamento biblico; unica immagine ammessa fu la Croce.
Seguirono aspri conflitti e quando arriva il tempo del Concilio di Nicea (787), voluto da Irene, madre e tutrice dell’imperatore, ancora bambino Costantino VI, viene disposta la condanna dell’iconoclastia. Si fa in quella sede la distinzione fra la legittima venerazione delle immagini (iconodulia) dalla loro adorazione (iconolatria), proibita in quanto riservata solamente a Dio solo.
L’iconoclastia viene riabilitata tra l’815 e l’843, sotto gli imperatori Leone V l’Armeno e Teofilo; da allora, l’immagine sacra diviene espressione definitiva del cristianesimo orientale.
In Occidente, Papa Gregorio Magno (540-604) puntò su una nuova e diversa prospettiva: le immagini sono la Biblia pauperum (la Bibbia dei poveri) che rende accessibili i racconti sacri agli analfabeti. Ma questa impostazione, quasi un millennio dopo, con la dura critica protestante riguardo al culto dei santi e della Vergine, tra i soggetti più rappresentati, trascinò con sé le immagini di ogni tipo e di ogni soggetto, sino alla drastica iconoclastia promossa dalle chiese calviniste nel XVI secolo.
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In un prossimo testo vedremo come è perché ai nostri giorni si arriva ad imbrattare le opere d'arte.
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