La Corte Costituzionale, – sentenza n.70/2015 già depositata – ha bocciato l’art. 24 del decreto legge 201/2011 in materia di perequazione delle pensioni, la cosiddetta norma Fornero che era contenuta nel “Salva Italia”.
Secondo l‘Avvocatura dello Stato, questo provvedimento valeva 1,8 miliardi per il 2012 e circa 3 miliardi per il 2013, per un totale di quasi 5 miliardi.
La norma stabiliva che per il 2012 e il 2013, ‘in considerazione della contingente situazione finanziaria’, sui trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo Inps (da 1.217 euro netti in su) scattasse il blocco del meccanismo che adegua le pensione al costo della vita; in altre parole l’inflazione poteva pure aumentare, ma le pensioni sarebbero rimaste ferme. Sostanzialmente un ‘taglio’ degli assegni che era destinato a valere non solo per l’oggi, ovvero per il biennio stabilito, ma anche per il futuro in quanto il successivo ricalcolo non avrebbe tenuto conto degli adeguamenti che non c’erano stati.
Un salasso che avrebbe inciso sulle pensioni per una percentuale attorno al 10-15% del valore reale se proiettato sulla durata media di una pensione. Un discorso simile a quello sul taglio delle cosiddette ‘pensioni d’oro’ che poi potevano essere anche ‘d’argento’ che ogni tanto riemerge quando il Governo cerca soldi subito e in contanti.
Secondo la Consulta, le motivazioni accampate dal Governo per taglieggiare i pensionati, erano ‘blande e generiche’, soprattutto a fronte del costo che avrebbe avuto il provvedimento per i pensionati: “Deve rammentarsi che, per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull’ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato”.
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